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"Quando la vita è degna di essere vissuta? La battaglia di Alfie ed il fine vita", è stato l'argomento trattato dal professor Antonio Acquaviva il 6 giugno scorso, presso il Centro per iniziative socio culturali "La Terza età" del quartiere di San Miniato e promosso da Marisa Caselli e Giuseppe Mercurio, due persone note nel mondo cattolico senese. Il professor Acquaviva ha ripercorso, con il supporto di slide, la tragica storia di Alfie Evans, il bambino inglese affetto da una rara malattia neurologica degenerativa e poi deceduto. Nel corso del suo intervento il relatore ha posto l'accento su tutti i punti del protocollo della
medicina inglese, che tendono ad impedire di perseguire tutte le strade possibili per tenere in vita chi è affetto da gravi patologie. In modo particolare è stato messo in rilievo il fatto che non sia stato permesso ai genitori di poter portare il loro bambino all'ospedale Bambin Gesù di Roma, che si era offerto di accoglierlo e di inserirlo in un protocollo di cure sperimentali, cure che, a detta dei medici di questo ospedale, stanno dando buoni risultati. In Inghilterra la legge non funziona come in Italia, dove una persona, o se si tratta di minore, i genitori, può o possono decidere di lasciare l'ospedale, firmando una dichiarazione dove ci si assume la responsabilità di questo atto.
Sembrerà strano, ma nella "evoluta Inghilterra" è l'ospedale ad avere l'ultima parola. Si va verso l'affermazione del così detto "best interest", cioè la migliore soluzione nell'interesse della società, ma non del paziente; la migliore soluzione per il paziente, ma anche per la società in generale non sarà mai togliere le cure necessarie, come l'aiuto a respirare, l'idratazione, l'alimentazione, ma i protocolli medici dovranno sempre tendere a perseguire il mantenimento in vita della persona malata, perché nessuno, né giudici, né medici, né parenti devono avere il potere di stabilire fino a quando una persona deve vivere e quando deve morire, sia questa persona minorenne o maggiorenne. E qui si torna all'etica cristiana della sacralità della vita, che mette al centro l'uomo e l'agire nel suo interesse, che sarà sempre quello di essere curato al meglio, solo così si salvaguarda la dignità umana, senza sacrificarla sull'altare della sostenibilità economica, naturalmente evitando episodi di accanimento terapeutico.
In Italia non funziona come in Inghilterra, ma un attacco alla sacralità della vita umana viene dalle cosiddette DAT, acronimo che sta per Disposizioni Anticipate di Trattamento, legge 219 del 22 dicembre 2017, entrata in vigore il 31 gennaio 2018, governo a guida Partito democratico. Da queste disposizioni di legge, che prevedono il testamento biologico e il consenso informato, può venire un vero e proprio attacco alla vita, in quanto si rimette la decisione di staccare la spina o di interrompere le cure necessarie per tenere in vita una persona, in mano ad altre persone che siano essi giudici, medici o familiari del malato.
All'intervento del professor Acquaviva è seguito un intenso dibattito che ha visto intervenire molti tra i numerosi partecipanti e da questo incontro è partito l'appello a vigilare a tutti i livelli, sia sanitario, che legale, che politico, perché l'attacco alla vita in nome dell'interesse economico e del "tanto che ci fa al mondo in quelle condizioni", non prevalga, ma prevalga il rispetto per la persona umana, unica ed irripetibile, che Dio ha voluto che nascesse e che la medicina deve curare, che la legge deve tutelare, con la politica che deve legiferare in suo favore, perché la vita è sempre degna di essere vissuta e che la fine della vita di una persona non deve essere decisa da altre persone.
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