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Alla fine i manifesti di ProVita e Generazione Famiglia (guai a chiamarli "contro l'utero in affitto") sono stati rimossi: secondo l'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria (Iap) il contenuto della campagna è lesivo del rispetto delle libertà individuali e dei diritti civili. Badate bene: il contenuto della campagna contro l'utero in affitto, non la pratica dell'utero in affitto che – ricordiamolo ai suprematisti delle libertà e dei diritti civili – è un reato. In altre parole abbiamo appena scoperto che condannare un reato viola la legge, quello che non abbiamo invece ancora capito è di quale contenuto stia parlando lo Iap quando recapita alla società che gestisce gli impianti su cui sono stati affissi i manifesti la seguente diffida: «A seguito di segnalazioni relative a una campagna pubblicitaria omofoba e lesiva della libertà personale attualmente presente nel territorio capitolino, già oggetto di Memoria di Giunta approvata in data 18/10/2018, è stato appurato che codesta società sta concedendo spazio sui propri impianti ad una campagna con il seguente messaggio: "Due uomini non fanno una madre" promossa dalle associazioni Pro Vita e Generazione Famiglia. Tal messaggio è in violazione al comma 2 dell'art. 12 bis del Regolamento sulla pubblicità di cui alla Deliberazione A.C. n.50/2014 che cita: "È vietata l'esposizione pubblicitaria il cui contenuto sia lesivo del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili…"».
MULTA FINO A 100 MILA EURO
Pertanto la società, ammonisce la lettera siglata dal dipartimento dello Sviluppo economico e Attività produttive, è diffidata a «rimuovere con immediatezza i manifesti relativi a tale campagna». Non solo, in seguito all'ordine di rimozione è arrivata anche la sanzione: da 400 a 2.000 euro a manifesto, che per cinquanta manifesti affissi a Roma significa una multa fino a 100.000 euro di importo. Ora i promotori della campagna impugneranno al Tar il provvedimento (lo stesso che aveva colpito la società di affissioni per i manifesti sull'aborto, allora la sanzione fu di soli 400 euro).
PER AVER DETTO COSA?
Centomila euro per aver detto cosa? Che "Due uomini non fanno una madre". Per aver rappresentato il concetto attraverso l'immagine di un genitore 1 e genitore 2 (nel pieno rispetto della neolingua degli alfieri dei diritti e delle libertà individuali) e un bimbo che piange nel carrello di un supermercato (nel pieno rispetto di quella società per cui la discendenza non è più costruita secondo la generazione naturale, bensì attraverso cataloghi, firme dal notaio, contenitori sanitari).
OPERAZIONE CENSURA
Scorre un fiume di ipocrisia attorno a questo provvedimento e a questo mediocre dibattito, che elude la vera questione in gioco: l'utero in affitto. Non interessa a Chiara Appendino, la prima ad annunciare battaglia contro i manifesti a reti unite sui social spiegando che non fermerà le trascrizioni degli atti di nascita dei figli di due padri o due madri, e poi a non fare proprio nulla per fermare i camioncini, visto che le vele di Pro Vita e Generazione Famiglia hanno girato indisturbate per la città di Torino per un'intera settimana, così come a Milano. Non interessa a Virginia Raggi, che ha richiesto agli uffici competenti a rimozione della campagna "choc" dichiarando che «la strumentalizzazione di un bambino e di una coppia omosessuale nell'immagine del manifesto offendono tutti i cittadini». Non interessa, anzi, interessa moltissimo al presidente del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, che su Mucca Radio si è intestato trionfante l'operazione censura: «Abbiamo sentito Famiglie Arcobaleno e abbiamo iniziato a fare quello che sappiamo fare meglio, cioè dare fastidio alla politica: abbiamo preso telefono per telefono di ogni consigliere comunale di maggioranza e opposizione, e vi garantisco che li abbiamo tartassati, siamo riusciti a parlare direttamente con l'ufficio della sindaca e dopo 24 ore di pressing siamo riusciti ad avere il comunicato della sindaca con cui si impegnava a toglierli».
AL SUPERMERCATO DEI BAMBINI
Come se il ruolo materno fosse una colossale palla inventata dai quei reazionari di Pro Vita e Generazione Famiglia. Come se fosse in discussione il rispetto dei diritti e non la pretesa di ottenerli al prezzo di quelli di un bambino. Come se il dissenso nei confronti della maternità surrogata fosse da esprimere in via clandestina, da coltivare ciascuno nelle proprie case e chiese. Come se la morale di tutta questa vicenda non fosse una sola: chi disprezza compra. Al supermercato dei bambini.
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