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Il grido di dolore della mamma del ragazzo di Lavagna morto suicida durante la perquisizione della Guardia di Finanza ha mosso l'inamovibile, ha messo il dito nella piaga: «Non considerate la droga come normale» ha detto la mamma. Come se, similmente alla famosa favola, avesse detto che «il re è nudo». E l'ha detto sia a chi vuol risolvere il problema delle dipendenze con il Codice penale sia a chi cerca di rimuoverlo facendo sparire le leggi e liberalizzando. Il problema è la consapevolezza: la droga fa male, e chi si droga vive dapprima nel pozzo nero della curiosità bambinesca e poi in quello del disagio mortale. Dire disagio è parlare di qualcosa che rode il midollo mentale dell'uomo ma che qui trova come risposta un farmaco invece di una risposta vera. Non per nulla la American Academy of Pediatrics, il maggior organismo mondiale dei pediatri, si è sempre opposta alla liberalizzazione, tant'è che il passo successivo è l'aumento dell'uso della cannabis, com'è accaduto negli Stati Usa che l'hanno resa facilmente accessibile, soprattutto tra gli adolescenti. È un problema di consapevolezza: l'American Journal of Medicine del 1° febbraio mostra che negli ultimi anni sono triplicati i ricoveri per abuso di marijuana, cosa che mostra sia che la cannabis fa male sia che la dilagante banalizzazione porta all'abuso. Le campagne per la depenalizzazione hanno alla base questo messaggio: liberalizziamo perché tanto la cannabis non fa male (e quanti vip si prodigano a vantarsi in tv di averla assunta), con il conseguente aumento a macchia d'olio dell'uso di marijuana. Chi mai sarà dissuaso dal prendere qualcosa che i benpensanti e le rockstar dicono che 'male non fa'? Purtroppo non è così: la cannabis aumenta il rischio che si sviluppino psicosi, perché i cannabinoidi (le molecole attive nella marijuana) sono neuromediatori che alterano le connessioni tra i neuroni; inoltre fa aumentare i rischi legati agli idrocarburi sprigionati nel fumo, come le sigarette, con rischi per cuore e polmoni. Leggere commentatori che, invece di partire da quanto detto dalla scienza o dalla madre straziata del caso di Lavagna, restano prigionieri delle proprie idee fa davvero male. C'è chi ha la ricetta, una sola, pronta all'uso: liberalizzare e basta, minacciando che nessuno osi prendere spunto dalle parole ascoltate al funerale per chiedere di non cancellare le sanzioni (abbiamo letto anche questo) perché lasciare mano libera sulle droghe leggere ormai è un mantra, una fede, un dogma inattaccabile, che richiede di tacere l'evidenza del male fatto dalla droga. Posta questa premessa ferrea, nessun cittadino sarà mai messo in grado di porsi seriamente il problema della prevenzione della droga ormai diffusa come la coca-cola tra i ragazzi. Il consumo di droga non va però prevenuto solo con le leggi perché quest'epidemia è parallela a quella della perdita di rapporti veri. Non a caso la mamma di Lavagna ha alzato la voce contro il degrado della comunicazione tra ragazzi e con i genitori, soppiantata com'è da chat, faccine, messaggini. I ragazzi che stanno crescendo sono sempre più soli, appoggiati ad adulti sempre meno genitori, in fondo soli anche loro. Dove sono l'amicizia, la famiglia, il gruppo, sostituiti da sballo, efficienza, multimedialità?
Non pretendo di esser creduto sulla parola, ma a chi dubita chiedo di leggere sui giornali medici, e troverà sempre la stessa conclusione: la droga nuoce alla salute. Almeno non lo si ignori facendo disinformazione. In Colorado dopo la liberalizzazione sono aumentati del 48% i morti per incidenti d'auto legati all'uso di marijuana (dati dirmhidta.org, centro federale appartenente all'osservatorio sulla droga Usa).
Non si risolve un problema fingendo di non vedere. Il problema ha un nome, anzi, due: disagio e solitudine. Negarlo e intanto regalare ai ragazzi le chiavi della cassaforte delle droghe è mostrare di non aver capito cosa sta succedendo.
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