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Una delle principali giustificazioni a favore dell'interruzione di gravidanza è che l'embrione non sarebbe una persona umana, non avrebbe capacità intrinseche e il suo sviluppo sarebbe totalmente dipendente dalla madre che lo porta in grembo. Alcuni arrivano a definirlo un "grumo di cellule", così non sarebbe moralmente riprovevole abortirlo.
A smentire questa visione è arrivato un importante studio pubblicato su Nature Cell Biology ed intitolato Self-organization of the human embryo in the absence of maternal tissues. Gli autori, guidati da Marta N. Shahbazi dell'Università di Cambridge, hanno infatti dimostrato che un ovulo fecondato (noto anche come "zigote") è un essere vivente autonomo. Sono state riconosciute le «notevoli proprietà di auto-organizzazione degli embrioni umani», ovvero questi presunti "grumi di cellule" hanno in realtà una vita autonoma da quella della madre e sono, loro stessi, artefici e responsabili del loro sviluppo.
I giovani embrioni (zigoti) coltivati in questo esperimento non sono stati manipolati o costretti artificialmente a svilupparsi, sono cresciuti di loro iniziativa anche in assenza dell'utero materno. Questo significa, ha spiegato la studentessa di medicina Ana Maria Dumitru, che, «come sospettavamo, gli embrioni sanno cosa serve per vivere e cercano autonomamente di farlo, indipendentemente che siano nel grembo materno». Questo è anche il motivo «del perché la maggior parte dei contraccettivi in realtà funziona come abortivo: piuttosto che impedire allo sperma di fertilizzare l'ovulo, impediscono all'embrione da impiantarsi correttamente. Senza le sostanze nutritive l'embrione muore. Ma, come Shahbazi e i suoi colleghi hanno dimostrato, se l'embrione assume le sostanze nutritive, egli continuerà a lottare per la vita».
Sapevamo già che l'embrione comunica con la madre attraverso segnali e scambio di nutrienti presenti il sangue, ma ora scopriamo che è anche "programmato" fin dal concepimento per la sopravvivenza. Egli, indipendentemente dalla madre, ha tutto l'occorrente per guidare la propria crescita e -anche senza l'utero materno- è responsabile in prima persona del suo sviluppo e della sua sopravvivenza. Questo studio, quindi, «elimina la possibilità di dire che il giovane embrione (zigote) non è un organismo o non è autonomo. Nessuno può più affermare che ad un embrione in crescita manca l'autonomia».
I filosofi Robert P. George, docente presso l'Università di Princeton e Christopher Tollefsen dell'University of South Carolina (e altri, come John Finnis e Patrick Lee), hanno adeguatamente spiegato che un organismo che ha tutte le capacità per diventare una persona riconoscibile (ed extra-uterina) è in realtà già una persona perché, anche se le capacità dell'organismo non sono ancora completamente sviluppate, esse sono già presenti nei primi attimi di vita dell'embrione. La personalità è determinata infatti non dalle capacità immediatamente esercitabili, ma dalle capacità intrinseche. Così, un embrione umano, un bambino appena uscito dall'utero della madre o un giovane adolescente -seppur ancora in fase di pieno sviluppo-, hanno tutti le stesse capacità intrinseche dell'essere umano adulto completamente sviluppato. Tutti sono persone umane, nonostante il parere contrario della Consulta di Bioetica Laica, guidata da Maurizio Mori (cfr. R.P. George & C. Tollefsen, Embryo: A Defense of Human Life, The Witherspoon Institute 2011).
Gli esseri umani non acquisiscono la loro personalità durante una certa tappa del loro sviluppo, essa è già presente al momento del concepimento. Questo studio ha quindi contribuito a far cadere l'asserzione femminista "il corpo è mio e decido io": sbagliato, lo zigote nel grembo della donna non è una parte del suo corpo, ma è essere umano autonomo ed indipendente. Egli è persona umana fin dal primo momento.
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