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«Non dimenticherò mai il battito delle sue palpebre appena accennato, il lento e affaticato movimento delle sue piccole braccia e gambe. Mia figlia Aurora, forse, voleva farsi vedere forte e coraggiosa quando al cambio del pannolino tentava di ribellarsi e di evitare quei lievi spostamenti che i neonatologi e le infermiere la costringevano a fare. Ricordo ogni singolo particolare, ogni minuto o meglio oserei dire, ogni secondo della sua breve esistenza durata solo 23 giorni. Aurora infatti è venuta al mondo il 17 marzo 2015 per poi andarsene l'8 aprile 2015 dopo un'estenuante lotta per la sopravvivenza», racconta Monica Samaritani, la sua mamma.
Alla 12° settimana di gestazione, le avevano diagnosticato una patologia rara, un'ernia diaframmatica congenita sinistra, che comporta un buco proprio in quell'importante organo tra torace e addome che ci consente di respirare. Ciò comporta una conseguente risalita dello stomaco, dell'intestino, del fegato nella cavità toracica provocando una compressione dei polmoni e impedendo così il regolare sviluppo di questi organi.
«Mio marito e io non sapevamo neppure di cosa stessero parlando i medici. Eravamo sprovveduti, disorientati durante le spiegazioni che includevano percentuali, interventi in utero e post-nascita, qualità di vita. In quei giorni di continue visite mediche ed ecografie mi sentivo chiusa in una bolla, oppressa da un frastuono di cui non riuscivo a decifrare il significato. Avvertivo solo un dolore straziante provenire dal mio cuore, mi sono chiusa nel silenzio e nella disperazione e pensavo solo all'amore grande per quella piccola creatura che cresceva dentro di me, giorno dopo giorno».
Monica e il marito sono stati convocati dai ginecologi che seguivano la gravidanza e posti di fronte alla scelta di abortire. Dopo notti insonni, hanno deciso, fermamente, che non toccava a loro decidere la morte di Aurora. Si sono affidati a Dio e hanno pensato che era giusto dare una possibilità alla piccola e che avrebbero lottato con lei e per lei fino alla fine. Così è stato.
«Aurora e io siamo state sottoposte alla 28° settimana di gravidanza a un intervento in utero, denominato "Feto", per garantire alla bimba una maggior possibilità di sopravvivenza. L'operazione era andata benissimo, tutto subito nei polmoni si è registrato il corretto ritmo di espansione, la piccolina cresceva bene dentro di me ed era un vortice di energia. Ma, con il passare del tempo, è comparso il cosiddetto Polidramnios, una sovrapproduzione di liquido amniotico che mi costringeva alla amnio-decompressione (un mini-intervento per la sua aspirazione). Non solo. Alla 30° settimana di gestazione, Aurora presentava un edema sottocutaneo diffuso che ha allarmato i medici e di conseguenza me e mio marito».
La paura era quella che ci fosse qualcosa di nascosto, di sconosciuto e di terribile nel suo corpo. Alla 33a settimana mentre Monica era sdraiata su quel letto, che ormai era diventato un "compagno di viaggio" e la stavano sottoponendo all'ennesima amnio-decompressione, si sono rotte le acque e di lì a poche ore sarebbe nata Aurora. Da quel momento per la piccola è iniziata una spietata lotta per la vita senza la protezione della mamma. «Avrei voluto tenerla dentro di me per sempre perché era il solo modo che avevo per farla vivere per metterla al riparo dai pericoli, dalle sofferenze e da tutte quelle macchine che successivamente l'avrebbero tenuta in vita per soli 23 giorni».
«Non potevo fare più nulla per lei, se non andare a trovarla, starle vicino, raccontarle tante storie e cantarle dolci ninna nanne, accarezzarle con estrema delicatezza quel piccolo corpicino, pregare giorno e notte e sperare, con tutte le mie forze, che Aurora sarebbe tornata a casa con me, tra le mie braccia». Era una bambina forte e lo dimostrava giorno dopo giorno, era stata sedata, ma lei si opponeva alla sedazione per manifestare la sua forza. Ce la metteva tutta per aprire gli occhietti nella direzione della sua mamma e del suo papà quando loro si avvicinavano alla sua termoculla.
Monica è sicura che sua figlia in quei momenti voleva dire ai suoi genitori che li sentiva, lì vicino a lei. «È indelebile dentro di me», aggiunge Monica, «il ricordo di quando stringeva le nostre dita con le sue piccole manine forti, quando muoveva le labbra e faceva le bollicine, quando le davano il mio latte con il sondino e la sua espressione cambiava, compiaciuta, assaporava me! Tutti i giorni quei suoni della Terapia Intensiva Neonatale mi entravano nel sangue, eravamo lì insieme a tanti altri genitori, ognuno con la sua storia, con la sua lotta ma tutti lì per dare forza e presenza ai nostri figli adorati. Non dimenticherò nulla di lei nemmeno il suo pianto, con quel tubo che lo rendeva quasi silente. Il tempo che trascorrevamo davanti a quel suo "lettino di vetro" era così pesante, l'attesa straziante e il non sapere, se l'avremmo mai portata con noi a casa, così struggente. Eravamo in balia degli eventi, senza remi in un mare in tempesta».
La vita, però, aveva un altro progetto per Monica e suo marito e così come è arrivata la piccola Aurora, di notte e in silenzio, così se ne è andata. Perché in silenzio? Quando è venuta al mondo non poteva piangere in quanto è stata intubata e portata subito in terapia intensiva, dal momento che non doveva affaticare i suoi piccoli polmoni. Così lei e la sua mamma non si sono neanche "conosciute", Monica era stata sedata e dormicchiava. «Quando la mia bimba ha lasciato questo mondo, allo stesso modo non ero presente: mio marito e io eravamo rimasti con lei fino a mezzanotte, l'abbiamo salutata, accarezzata e le avevo promesso che ci saremmo riviste l'indomani mattina. Ma così non è stato».
«All'una e dodici», continua Monica, «ci hanno chiamato dalla terapia intensiva per dirci che ci stava lasciando. Siamo arrivati di corsa in ospedale all'una e quaranta tre, ma all'una e quaranta il suo cuoricino aveva smesso di battere. Forse la mia bimba non ha voluto che la vedessi andare via. L'hanno staccata da tutti quei macchinari che l'avevano tenuta in vita per quei pochi e lunghissimi giorni e ho potuto prenderla in braccio. Finalmente ho potuto stringerla e sentire il tepore del suo corpo sul mio petto».
Monica ritiene di non aver mai conosciuto persona più coraggiosa e saggia di Aurora in tutta la sua esistenza. Seppure così piccola le ha insegnato tantissimo. E ringrazia Dio di non aver abortito perché quei giorni di vita con sua figlia sono stati comunque un importante percorso insieme. Aurora le ha insegnato, nonostante tutto, che non bisogna mai arrendersi, che bisogna avere fiducia in sé stessi, che nei momenti più difficili abbiamo tanta forza dentro di noi e che bisogna tirarla fuori, che bisogna continuare a lottare se si vuole veramente qualcosa, che bisogna amare senza misura e dare senza misura, oltre le nostre modeste forze. Soprattutto Aurora le ha insegnato che il dolore è una parte di noi, non possiamo pensare di esserne immuni. Col tempo, però, si impara a conviverci. «E ancora: mia figlia mi ha insegnato che niente e nessuno può portare via i nostri ricordi, le nostre emozioni».
Da questa esperienza, da questo dolore straziante, Monica e suo marito hanno trovato una via di rinascita creando Il giardino di Aurora, un'associazione (www.ilgiardinodiaurora.it) che porta il nome della loro piccola tenace figlia. «Ci proponiamo l'obiettivo di dare una mano a tutte quelle famiglie che si trovano ad affrontare un percorso difficile come il nostro, lotteremo al loro fianco per aiutarle a trovare vie d'uscita. Se avessi abortito avrei perso la ricchezza che, oggi, mi aiuta a interpretare le situazioni con maggior discernimento riuscendo a leggere in ognuna, spesso, anche quel che non c'è scritto. Per questo tutte le sere ringrazio il Signore per avermi dato l'opportunità di vivere quei 23 preziosi giorni con Aurora».
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