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Secondo Richard Dawkins, il più famoso militante ateo del mondo (anche se poi si è definito agnostico, ed infine cristiano culturale), «l'universo che osserviamo ha precisamente le caratteristiche che dovremmo aspettarci se non vi è, in fondo, nessun disegno, nessuno scopo, nessun male e nessun bene, nient'altro che una cieca e impietosa indifferenza» (R. Dawkins, River out of Eden, p. 131,132).
L'ex zoologo inglese ha ragione: senza Dio non può esistere alcuno scopo all'incidente evolutivo della vita umana, così come non possono esistere i valori oggettivi e assoluti, nessun "giusto" (comportamento retto) o "ingiusto" (comportamento non retto), nessun bene e male assoluti. Joel Marks, professore emerito di filosofia presso l'University of New Haven, ha spiegato: «poiché sono un ateo devo abbracciare l'amoralità. Senza Dio, non c'è moralità, niente è letteralmente giusto o sbagliato». Il bioeticista Peter Singer ha esemplificato meglio: «Se a te piacciono le conseguenze allora è etico, se a te non piacciono le conseguenze allora è immorale. Così, se ti piace la pornografia infantile e fare sesso con i bambini, allora questo è etico, se non ti piace la pornografia infantile e fare sesso con i bambini, allora è immorale».
Senza un Bene e un Male preesistenti all'uomo dire, per esempio, che la pedofilia è un male diventa una mera opinione, con lo stesso valore dell'opinione contraria. Chi decide, infatti, chi ha ragione? In base a quale assoluto? Tutto è relativo a cosa pensa la maggioranza per cui, in una società a maggioranza pedofila anche la pedofilia diventa un bene. Certo, un non credente può senz'altro affermare che abusare i bambini è sbagliato e si tratta di un male assoluto, che rimane tale anche se tutto il mondo pensasse il contrario. Ma la sua posizione è irrazionale perché non riesce a giustificare il fondamento assoluto della sua dichiarazione. Come spiegato dal filosofo Emanuele Severino, «in chi è convinto dell'inesistenza della verità, e in buona fede rifiuta la violenza, questo rifiuto è, appunto, una semplice fede, e come tale gli appare. E, non esistendo la verità, quel rifiuto della violenza rimane una fede che, appunto, non può avere più verità della fede (più o meno buona) che invece crede di dover perseguire la violenza e la devastazione dell'uomo» (C.M. Martini, "In cosa crede chi non crede?", Liberal 1996, p.26).
E' stato proposto recentemente un esperimento mentale per capire meglio tutto questo. Immagina di essere un atleta sano di 20 anni sulla riva di un grosso fiume in piena. All'improvviso noti qualcosa nell'acqua e ti rendi conto che è una persona che sta annegando, è una donna anziana in preda al panico, senza fiato. Vagamente la riconosci come una povera vedova del villaggio vicino, ti guardi attorno ma non c'è nessuno, sei da solo. Hai pochi secondi per decidere se restare fermo oppure tuffarti e salvarla, consapevole che così facendo metterai la tua vita in serio pericolo. E' razionale rischiare la vita per salvare questa straniera? E' moralmente buono farlo?
Il cristiano, ad entrambe le domande, può rispondere un deciso "sì". Non c'è vita che non abbia un valore assoluto, perché voluta da Dio e non dal caso evolutivo. Siamo chiamati ad emulare l'esempio di Gesù che, non solo ha rischiato ma addirittura sacrificato la sua vita per il bene degli altri. La coscienza non è un'illusione, un epifenomeno del cervello che si può tranquillamente trascurare, e ci spinge a tuffarci nell'acqua. Per l'umanista secolare, invece, nascono grossi problemi e dilemmi. Tutto è soggettivo, biologicamente ed evolutivamente parlando il giovane del nostro scenario non ha nulla da guadagnare nel tuffarsi per salvare la donna, lei è povera ed anziana e non otterrà alcun vantaggio finanziario o riproduttivo. L'umanista secolare potrebbe riconoscere, intuitivamente, che il mettere a disposizione la propria vita per salvare l'anziana è una buona azione, un'azione morale. Ma non ha alcuna base razionale per dirlo e farlo, la decisione è tra l'empatia verso un estraneo (da una parte) e l'utilitaristico interesse personale dall'altro. Se il giovane deciderà di sedersi e guardare annegare la donna, l'umanista secolare non può criticarlo. Ha semplicemente agito in modo razionale. «Niente è letteralmente giusto o sbagliato», ci spiegano i filosofi atei.
Questo è effettivamente un esempio calzante che abbatte l'esistenza di una presunta etica o morale laica. Ovviamente, non significa che l'ateo non può prendere decisioni etiche, tutti abbiamo amici non religiosi che vivono vite estremamente morali e ammirevoli. Il problema è che queste loro decisioni non possono essere giustificate se non su mere ed effimere opinioni e gusti personali, non ci sono imperativi morali vincolanti. Che sia bene sedersi ad osservare un bambino indifeso che viene torturato è un'opinione, valida quanto il suo opposto. Per lo stesso motivo, come abbiamo già scritto, chi non crede in Dio non può nemmeno credere davvero nei diritti umani.
L'"argomento morale" aiuta quindi a comprendere come chi esclude Dio dall'esistenza è poi costretto, per coerenza, ad abbracciare l'amoralità e il relativismo, a parlare solo di opinioni e sentimenti/sensazioni personali. Non di "bene" e non di "male", non di "coscienza", non di "giusto" e non di "sbagliato". L'ateo che si sente a disagio in questa condizione dovrebbe comprendere che allora esiste una legge morale dentro di noi che ci indica cosa è davvero bene (non torturare i bambini) e cosa è davvero male (torturare i bambini), e ci convince che non si tratta di una mera opinione personale ma di un assoluto che rimarrà tale per sempre, indipendentemente da tutto perché è una legge preesistente all'uomo stesso. Una coscienza che non è un'illusione, quindi, ma la firma che il Creatore ha lasciato dentro di noi.
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