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Dopo la legalizzazione delle unioni fra persone delle stesso sesso, in questi giorni è ricominciato in Parlamento il dibattito sull'eutanasia, abbandonato nel 2011 dopo la crisi di governo. Non è un caso. Le due istanze sono una conseguente all'altra, figlie della stessa ideologia mortifera, che in nome della libertà di autodeterminazione si impone sui più deboli e quindi sulla società intera. Così, come per le unioni civili, si sentirà probabilmente ripetere il ritornello che "è impossibile opporsi" e che quindi "bisogna porre dei paletti". Con la stessa logica di compromesso espressa anche dai parlamentari cattolici già cinque anni fa, la norma sulle "dichiarazioni anticipate di trattamento" passò al Senato alla fine del 2010 per poi essere affossata insieme al governo Berlusconi.
Ma a rivelare come si trasforma, che volto spaventoso possa assumere e fino a dove possa spingersi in pochi anni una società che legalizza l'eutanasia anche con "regole ferree" è un documentario dell'"Euthanasia Prevention Coalition", che descrive la situazione belga a 14 anni dall'approvazione della legge. La voce di un uomo descrive in maniera glaciale la morte della madre a sua insaputa: «Ha ricevuto un'iniezione letale nell'ospedale dell'università pubblica di Bruxelles (…) era in salute, anche se attraversava momenti di depressione». Un altro uomo ricorda: «Mio nonno ha sviluppato un cancro a 80 anni ed è stato sostanzialmente ucciso dallo staff medico della casa di cura». Il padre di una ragazza disabile conferma le «pressioni affinché praticassimo l'eutanasia su di lei, che è come ogni altro figlio della nostra famiglia».
Il filmato affronta anche il tema dell'autodeterminazione venduta come libertà ponendo dei quesiti: «Sì, - dice il figlio di una donna che ha richiesto l'eutanasia – era lei che sarebbe morta, ma noi eravamo i suoi figli, l'amavamo». Un altro svela il suo senso di smarrimento così: «Non si trattava solo della sua di qualità di vita, ma anche di quella di suo nipote». Ma il problema è anche dei medici, dato che le sentenze giudiziarie hanno portato alle estreme conseguenze il diritto all'autodeterminazione restringendo il campo all'obiezione di coscienza.
Fra le voci del documentario proprio quella di un dottore fa notare: «La norma dice che è il paziente a dover decidere, è quindi strano che invece non si voglia rispettare la scelta autonoma dei medici decisi a non praticare l'eutanasia. E nemmeno l'autonomia delle istituzioni che non vogliono praticarla». Contro l'argomento della cosiddetta compassione c'è anche chi ricorda la visita di una parente al nonno: «Voleva dargli dell'acqua. Ma una delle infermiere disse: "Non farlo, stai prolungando il processo di morte". E lei rispose: "Cosaaa?"». Il medico spiega il vero volto della carità che va scomparendo: «Si aiutano le persone a morire controllandone sintomi e sofferenze, non uccidendoli». Infine, l'amara constatazione: «Che cosa sta diventando questa società? È una società di qualità, solo i migliori sopravvivono».
Eppure, il 28 maggio 2002, quando il Belgio approvò la norma, le regole erano rigidissime e l'eutanasia era permessa solo in "casi estremi" di morte imminente. Ora la pratica è estesa anche ai bambini. E nel 2012, l'Istituto europeo di bioetica dichiarò che «l'eutanasia è diventata gradualmente un atto normale e ordinario».
Basti pensare che, se nel 2003 i casi erano 236, già nel 2008 erano 704. Nel 2011 si giunse alla cifra di 1.432 (il 25 per cento in più rispetto ai 1.133 casi dell'anno precedente). Senza contare le sedazioni terminali praticate con la morfina. La stessa Commissione belga incaricata di valutare i casi aveva ammesso di «non essere in grado di accertare se i casi di eutanasia dichiarati corrispondono al numero dei casi reali che si verificano». Nel 2013, il New England Journal of Medicine, riportava che il 5,1 per cento di tutte le morti nelle Fiandre era dovuto all'eutanasia (attiva e passiva). Solo quattro anni dopo, nel 2015, i casi sono diventati 2.021. Di questi alcuni sono avvenuti anche senza il consenso dei pazienti.
Ma perché nessun compromesso è in grado di porre un freno alla legalizzazione della morte scelta e procurata? Nel 2010, quando "il testamento biologico" fu discusso in Italia, furono pochi a opporsi cercando di obbedire alla nota sul comportamento dei cattolici in politica della Congregazione per la dottrina della fede che parla di «princìpi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno», come «il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia».
Fra questi, l'associazione Medicina e Persona spiegò: «Regolamentare la vita e la morte "patteggiandole" significa averne già accettata la relativizzazione rispetto a quell'epoca storica in cui se ne discute». Giuseppe Verucchi, allora arcivescovo di Ravenna, spiegò perché, una volta messa ai voti, la vita sarebbe stata relativizzata avallando una logica dalle conseguenze inarrestabili: «Si aprirà una strada verso l'eutanasia. Se apro un foro in una diga (anche piccolo) prima o poi la diga crolla. (…) Affidiamoci sempre meno al relativismo e sempre di più al bene e ai valori naturali e oggettivi. O forse abbiamo paura ad andare contro corrente».
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