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Poche ore dopo la votazione in Senato del maxi-emendamento sulle unioni civili, su cui il Governo aveva posto la fiducia (primo caso nella storia italiana in cui viene chiesta su temi di coscienza), il premier Matteo Renzi è corso ad esultare su Facebook: «La giornata di oggi resterà nella storia del nostro Paese».
Per lui avrebbe vinto l'amore, la speranza, la libertà e tutti i retorici slogan che il ducetto di Rignano ha copiato da Barack Obama.
Eppure, qualcuno dovrà pur fargli notare che in realtà è stato sonoramente sconfitto dal popolo del Family Day, quello che fatto smantellare il disegno di legge originale. Solo qualche settimana fa, infatti, i leader del Partito Democratico facevano la voce grossa: «Nessuno stralcio sulle adozioni», assicurava Matteo Orfini, presidente del Pd. «Passerà anche la stepchild», prometteva Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato. «Le adozioni restano, noi non cambiamo rotta», giurava Debora Serracchiani, vicepresidente del Pd. Monica Cirinnà invece scriveva dieci giorni fa: «il Governo non può mettere la fiducia. Quello sulle Unioni Civili è un disegno di legge parlamentare, fatto lavorando insieme e contando sui voti di forze di opposizione. Sui disegni di legge, non essendo prodotti dal governo in carica (ma dal parlamento appunto), non può essere chiesto un voto di fiducia delle forze che sostengono il governo stesso». Ed invece hanno dovuto smantellare il ddl Cirinnà e chiedere la fiducia evitando i voti segreti e il dibattito parlamentare, consapevoli che avrebbero probabilmente perso. Per questo sono i primi ad essere stati sconfitti, poco importa che la fiducia sia stata votata (oltretutto cambiando in corsa la maggioranza!).
Lo dimostra anche il sentimento di sconfitta che provano le principali associazioni Lgbt, talmente in lutto che hanno organizzato una manifestazione il 5 marzo contro il governo Renzi. Perché il maxi-emendamento «ci disgusta e offende», scrive ad esempio la fondatrice delle Famiglie Arcobaleno, Giuseppina La Delfa. Parla di «rabbia e amarezza», perché «questa legge è una sberla in faccia, che ci trasforma in caricature viventi. E chi voterà la fiducia stasera o domani avrà tradito l'insieme delle persone omosessuali e transessuali». Il ddl Cirinnà, continua, «scrive la discriminazione e i pregiudizi nella legge, li scolpisce nella pietra ed è uno schiaffo pesante inflitto a tutte e tutti noi». Come darle torto? Renzi, coadiuvato da Scalfarotto e Lo Giudice, ha cancellato il vincolo di fedeltà per le coppie omosessuali. Così, scrivono le Famiglie Arcobaleno, «il pregiudizio viene scolpito nella pietra: i gay e le lesbiche sono promiscui – dunque poche seri, inaffidabili, traditori, non hanno nessun obbligo morale a rispettare il compagno o la compagna, non gli si chiede nemmeno di provarci, o di impegnarsi a non farlo! Un gesto di una gravità inaudita». Evidentemente, si legge anche sul Corriere, «lo stile di vita di una coppia gay è sempre e comunque nel segno della trasgressione e del tradimento continuo. A quanto pare la fedeltà non è possibile immaginarla tra coniugi che non siano un uomo e una donna regolarmente uniti in matrimonio».
Per non parlare della possibilità di divorziare in pochi giorni, «una battaglia di 30 anni per ottenere una legge che ci permette di unirci per divorziare in 3 mesi. Non capite tutti quanti che viene scritto ancora una volta nella legge, nella pietra, che noi omosessuali siamo incapaci di prenderci impegni seri, definitivi, importanti?», riflette La Delfa. «Questa legge pagliacciata, non la vogliamo». Per tutta la giornata di ieri, infatti, le associazioni Lgbt hanno manifestato con rabbia sotto al Senato, chiedendo di non votare la fiducia, arrivando anche a bloccare il traffico. Monica Cirinnà esulta per la "storica giornata dei diritti" ma le associazioni gay rispondono scrivendo che si tratta di una «brutta pagina nella storia dei diritti civili nel nostro Paese». Anche il giurista Lgbt Stefano Rodotà ha rilevato che «tutti gli interventi sono stati finalizzati a segnare il massimo di distanza possibile tra le unioni civili e il matrimonio».
Sia ben chiaro: meglio una legge del genere che il vecchio ddl Cirinnà, dove l'equiparazione al matrimonio era totale e plateale, contenente oltretutto la stepchild adoption. Il popolo del Family Day è riuscito a difendere i bambini e far stralciare una pratica che apriva indirettamente all'utero in affitto, come confermato anche dall'ex presidente della Corte costituzionale, Ugo De Siervo: «Diciamocelo chiaramente: con la "stepchild adoption" si concede il diritto a un padre naturale di estendere la genitorialità a chi desidera lui. Non vedo proprio la tutela di un diritto del bambino. Ci potrà poi essere qualche caso limite. Ma non si legifera mai per i casi limite, quanto per i casi ordinari. E qui, di ordinario, vedo piuttosto l'aspirazione di qualcuno a utilizzare la maternità surrogata nascondendosi dietro il presunto interesse del bambino».
Tuttavia il disegno di legge votato rimane una autentica porcata anche per i difensori della famiglia, «una procedura parlamentare antidemocratica, azzeramento del dibattito in Senato, sostituzione con un maxiemendamento, addirittura voto di fiducia, mai chiesto nella storia repubblicana su normative che interrogano profonde questioni di coscienza», scrive Mario Adinolfi. «Chiedo rispettosamente a Sergio Mattarella come possa non ravvisare estremi di incostituzionalità plateali in una normativa che assegna il diritto alla reversibilità della pensione, alla successione testamentaria, all'utilizzo del cognome del partner solo a 7.500 coppie omosessuali attualmente conviventi con 529 minori e non alle novecentomila coppie di fatto eterosessuali con settecentomila bambini che sono totalmente escluse da questi pletorici "nuovi diritti"».
Su Twitter c'è comunque qualcuno che esulta, ma non si accorge che il maxi-emendamento ha amplificato ancora di più la differenza tra coppie gay e famiglie naturali. Dicono che è il "primo passo". Ma è anche l'ultimo e l'unico possibile poiché, come ha spiegato pochi giorni fa l'ex presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, «la parificazione della coppia omosessuale al matrimonio non è consentita dall'art. 29 della Costituzione, secondo l'interpretazione che ne dà la Consulta nella sentenza del 2010. Perché vi è una differenza naturale tra la coppia di persone di sesso diverso e quella di persone dello stesso sesso che non può consentire di evocare il principio di eguaglianza». Se per la Costituzione la famiglia è la "società naturale fondata sul matrimonio", allora l'unica famiglia possibile è quella tra uomo e donna uniti in matrimonio. Una realtà che è naturalmente e costituzionalmente differente e diseguale dall'unione di due persone dello stesso sesso, che non potrà mai essere intesa come "matrimonio", e quindi come "famiglia".
Una legge, quella sulle unioni civili, che umilia tutti. Innanzitutto Matteo Renzi, Alfano e tutto il governo di maggioranza, perché per poterla approvare hanno dovuto cambiare in corsa la maggioranza (senza riferire al Quirinale), saltare la commissione e presentarla direttamente in aula, impedire il dibattito parlamentare e far votare tramite fiducia, modificando oltretutto radicalmente la struttura iniziale e originale. Umilia le associazioni e le coppie omosessuali, ufficializzando la loro natura essenzialmente promiscua e sminuendo la serietà dei loro rapporti, tanto che si potranno sciogliere in soli 3 mesi. Umilia le coppie eterosessuali non sposate, private dei privilegi concessi a quelle omosessuali ed, infine, umilia il popolo della famiglia che era certamente disposto a perdere -riconoscendo di difendere valori indigesti per il libertino uomo moderno-, ma voleva farlo democraticamente, all'interno di un dibattito parlamentare, di una votazione reale e concreta. Ancor meglio un referendum.
Post Scriptum
L'unica goccia positiva è che, per lo meno, ci siamo liberati della filosofa Lgbt Michela Marzano. «Resterò coerente con quanto ho sempre detto», ha affermato. «Nel momento in cui si dovesse approvare una legge senza la stepchild adoption, tirerò le conseguenze e molto probabilmente lascerò il Partito Democratico».
E' ora quindi per la Marzano di fare le valige, oppure la poltrona vale di più della parola data (vedi Cirinnà)? Questa mattina ha già rimandato: aspetterà la conclusione dell'iter della legge.
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