« Torna alla edizione


PERCHE' E' IN CORSO UNA GUERRA E NEGARLA NON CI AIUTERA' A VINCERE
Né omofobi né omomani, ma l'emergenza Gender c'è davvero
di Marianna Orlandi

In questi giorni, contrassegnati dal proliferare di bandiere arcobaleno – sventolate da soggetti più o meno consapevoli dell'essere cavie d'indagini di mercato –, non è certo mancata un'accusa che questo giornale si è spesso sentito rivolgere: quella di occuparsi solo di gender, di uteri in affitto, di matrimoni omosessuali. Poiché ho l'onore di collaborarvi, mi sono fatta interrogare da questo rimprovero e intendo, se mi è concesso, esplicitare gli argomenti a mia difesa.
Se è vero, infatti, che l'accusa al giornale è infondata, perché La Croce non parla né ha mai parlato solo di questo, e che sarà semmai il Direttore a rispondere a questo attacco, è pur sempre vero che io stessa mi dedico quasi esclusivamente a questi temi, sia quando vi scrivo che nella mia vita professionale (e, onestamente, anche nelle conversazioni a tavola, con amici e non).
Mi sono chiesta, dunque: "È giusto? Ha senso quello fai? Non è che così tralasci qualcosa di molto più importante?"
La risposta, ve lo anticipo, è no; per i seguenti motivi.
Una prima e piuttosto ovvia obiezione all'accusa di "mono-tematicità" può formularsi rivolgendo a chi ci attacca delle semplici domande: chi di voi, l'undici settembre, si è preoccupato di leggere la cronaca locale?
Chi di voi, se avesse avuto parenti su quella Costa Crociere che si schiantò sull'isola del Giglio, non si sarebbe preoccupato, per tutti i mesi successivi, solamente o prevalentemente delle sorti di quel processo?
Chi di voi, se di nazionalità o religione ebrea, non si sarebbe occupato di combattere l'ascesa al potere di Hitler finché poteva farlo, finché aveva voce?
Questo è quello che mi (ci) muove.
L'ideologia gender, che va a braccetto con le pratiche di fecondazione artificiale e di utero in affitto – perché non è possibile scindere procreazione e sessualità se non pensando l'essere umano a prescindere dalla sua biologia, dalla sua realtà sessuata, dalla sua naturale caratteristica di essere, ancor prima che uomo, figlio –; l'ideologia gender, dicevo, con le bieche conseguenze pratiche e con le trascrizioni legislative che ne conseguono, è una minaccia all'essere umano. È una minaccia al genere umano.
Non si tratta, nel nostro caso, di difendere"solo" una categoria di persone, una "etnia", una "religione": in ballo, mentre le cavie che ci accusano nemmeno di questo si accorgono, c'è la nostra relazione con il corpo, nostro e altrui. C'è il modo in cui il diritto, quello globale, tratterà i nostri corpi quando saremo malati o inutili; o come tratterà quelli dei nostri pronipoti.
Se si dovesse proseguire nella terribile strada che l'occidente ha ormai da molti decenni iniziato a percorrere, sarebbe ancor più manifesto che ormai molto spesso i diritti dell'uomo non esistono più: molto spesso le persone già divengono cose.
È questo che noi denunciamo! È così per le madri povere che si prestano alla "ovodonazione" o all'affitto del proprio utero (schiave).
È così per i bambini abortiti nell'ultimo trimestre, che, in una percentuale di casi che in alcuni Paesi arriva al 30%, nascono vivi ma sono lasciati morire senza che alcuno accusi il medico di omicidio di fronte a un tribunale: sono bambini-prodotto. Ma sono anche prodotto-non-voluto.Fine, per loro, dei diritti umani.
Mi spiace di non riuscire a parlare, di fronte a tutto questo, di una buona ricetta di cucina. Mi spiace anche di non poter dare consigli sul look per l'estate. Ne sono provvida: ma credo che le pagine di un giornale, gli spazi di un social network, finanche il tempo che passiamo con i nostri amici non possano, in questo periodo storico, essere sprecate per "pensare ad altro". Nessuno inneggia alle ossessioni; ma esistono delle priorità.
È allora naturale che il medico, il giurista, il sociologo si indignino di fronte a questi crimini, in atto o potenziali. È giusto che un giornale ne scriva.
Nel frattempo, io continuo a provare disgusto per tutti quei telegiornali che sentono il dovere, anche in giorni terribili quali quelli che stiamo vivendo, di dedicare uno spazio ai cagnolini abbandonati. O alla pallanuoto.
Quanto sin qui detto potrebbe bastare, ma avrei anche una seconda obiezione, un po' meno scontata. Per questa vorrei ricollegarmi all'accusa che mi sono sentita muovere il giorno dell'attentato in Tunisia. Secondo il mio interlocutore, il giorno dopo non mi sarei dovuta occupare della sentenza della U.S. Supreme Court, perché c'era, per l'appunto, qualcosa di più importante.
In primo luogo: non sono una esperta del campo. Per me, infatti, il principio di uguaglianza significa anche "saper distinguere". E fondamentale è saper distinguere la propria expertise, il proprio ambito e le proprie capacità. I tuttologi non servono. In secondo luogo, era giusto parlare di entrambe le cose perché, tanto in un caso quanto nell'altro, ci si trovava di fronte a fenomeni che si collegano al "propriamente inteso" rischio di fondamentalismo.
Se l'attentato di Sousse, infatti, è espressione di un fondamentalismo già in action, la sentenza USA è perfetto presupposto per la rinascita di un fondamentalismo occidentale. Un fondamentalismo imposto dallo stesso argomentare della Corte americana. Come ho già esplicitato, la decisione che ha equiparato matrimonio etero ed unione omosessuale ha al tempo stesso relegato le opinioni dissenzienti all'ambito del "religioso", della fede, del dogma. Con ciò, delle due l'una: o ci si adegua al "comune sentire", abbandonando il proprio credo. Oppure, se lo si voglia mantenere, si potrà smettere di apprezzare la perfetta armonia tra ragione e fede di cui tanti hanno scritto.
Problema: relegare le obiezioni alle nuove ideologie all'ambito della fede privata, equivale a ledere il più prezioso fondamento della nostra civiltà. Se l'Europa cristiana ha potuto accogliere genti di tutto il mondo, se ha saputo insegnare al resto del mondo fratellanza e tolleranza, è proprio perché la sua Rivelazione si appoggia a verità che la ragione da sola può comprendere, che tutti possono condividere, a prescindere dal credo.
Concludo la mia difesa, allora, con un invito ai lettori/accusatori: quello di togliersi gli occhiali faziosi con cui – forse – ci leggono; quello di smettere di leggere la parola Dio dove essa, invece, non ricorre. Il titolo del giornale parla di Cristo, è vero. Ma non c'è bisogno di Battesimo per capire che se un bambino può essere comprato e soppresso nel silenzio di tutti, non siamo d'esempio per nessuno, tantomeno per i jihadisti.
Ed è il caso di parlarne.

 
Fonte: La Croce, 08/07/2015