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In una sala gremita del Parlamento europeo si è svolta lunedì la presentazione del documento sulla scottante questione dell'utero in affitto, redatto dal Gruppo di studio in Bioetica della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece). Il documento parte dall'osservazione che questa pratica, tollerata in Europa solo da alcuni Stati a patto di essere del tutto gratuita o quasi, interessa l'Europa per il turismo procreativo verso Paesi dove «sono tollerate attività commerciali in questo campo», dagli Usa all'Asia, all'Europa orientale, con agenzie specializzate che usano spregiudicatamente Internet «per attrarre clienti» sul mercato globale «e metterli in contatto con giovani donne» pagate per condurre una gravidanza per conto terzi dietro ricompensa «spesso molto alta rispetto al salario normale».
Solo due Stati europei accettano la maternità surrogata, e solo sotto la condizione che sia 'altruistica', cioè senza un effettivo commercio dell'utero o del bambino, e solo con il pagamento di una ragionevole quota, concetto però messo in dubbio dal documento.
La presentazione è stata introdotta dallo slovacco Miroslav Mikolasik, presidente del gruppo di studio del Ppe sulla bioetica, e da monsignor Patrick Daly, segretario generale del Comece. Il gesuita padre Patrick Verspieren ha presentato i dettagli del documento, mentre Letitia Pouliquen, di Europe for Family, ha parlato dell'attentato che il commercio dell'utero in affitto porta alla dignità della donna. José Ramos-Ascensão, consigliere giuridico del Comece, ha portato importanti contributi dal punto di vista etico e legale alla questione del traffico dell'utero in affitto.
Il documento dei vescovi Ue ricorda all'Europa i punti caldi della maternità surrogata. Il primo è che non solo si affitta «un utero» ma tutta la persona per nove mesi, cosa che va contro la dignità umana sfruttando talora povertà e fragilità delle donne coinvolte. Oltretutto viene colpita la sfera dell'attività quotidiana della donna stessa che deve per contratto accettare di seguire una serie di comportamenti soggetti non solo all'amore materno ma a un contratto, arrivando a limitare le scelte della donna stessa e – cosa paradossale per la cultura laicista che preme per la libertà di affitto dell'utero – anche quelle riguardanti l'aborto. In alcuni Paesi, spiega la Comece, le donne 'affittate' sono soggette a visite quotidiane da parte delle agenzie che sorvegliano il contratto; in altri vengono separate dalla famiglia per poterle indirizzare verso i comportamenti salutistici scelti dalle agenzie.
La Commissione dei vescovi europei si sofferma poi su due punti focali: èpossibile portare in sé un bambino senza che questo abbia un legameaffettivo e che la separazione non abbia un effetto negativo? È vero che alcune donne portano davvero per fini altruistici un figlio di un'altra, e quante sono quelle che non lo fanno liberamente o lo fanno solo per denaro? «Questa reificazione del bambino è in diretta contraddizione con l'affermazione dei diritti umani della Comunità europea e viola la proibizione di fare del corpo umano e delle sue partisorgente di guadagno finanziario». Viene infine sottolineata la dissociazione tra atto procreativo e atto generativo, e i problemi legali legati ad esempio all'atto di nascita del bambino. Alcuni Stati finiscono col riconoscere il fatto compiuto, una volta che la coppia torna dall'estero col figlio nato da procreazione surrogata.
Il documento in conclusione chiede che l'Europa affermi che non accetterà di trascrivere i certificati di queste nascite qualora vengano da Paesi in cui l'affitto dell'utero è realizzato in cambio di una ricompensa economica, in modo che vengano scoraggiate le coppie come gli Stati interessati a fare dell'utero in affitto un commercio.
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