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Ecco l'ultima moda: buttare nel campo riproduttivo qualcosa che, se funzionerà, avrà senso semmai in quello terapeutico. Ci riferiamo alle cronache di questi giorni. La prima notizia parlava della brevettabilità dell'ovocita umano, che poteva far immaginare ai non addetti ai lavori che ora si possa brevettare un embrione, cioè una vita; la seconda si riferisce invece a una ricerca dell'Università di Cambridge, e le agenzie di stampa la raccontano così: 'Produrre ovuli e spermatozoi dalla pelle umana, per consentire alle coppie sterili di procreare in vitro e di avere figli biologici al 100%'.
Facciamo un piccolo salto nell'abc della genetica, poi vedremo di leggere i fatti ora riportati. Come spiega qualunque testo di biologia, tra le cellule del nostro organismo ce ne sono alcune diverse delle altre perché servono a riprodursi: ovulo e spermatozoo, e per questo hanno una caratteristica particolare, cioè 23 cromosomi invece di 46. Cellule malate? No, cellule che hanno solo mezzo patrimonio cromosomico e aspettanoda una cellula di 'sesso opposto' l'altro mezzo per formare una cellula nuova con patrimonio cromosomico intero e con la capacità di moltiplicarsi e crescere. Una mezza cellula (un ovocita o uno spermatozoo) non è in grado di moltiplicarsi da sé, e soprattutto ha un patrimonio cromosomico dell'uomo o della donna cui appartiene: è perciò proprietà dell'uomo (o della donna). Quando ovulo e spermatozoo si uniscono, invece, non solo iniziano a moltiplicarsi, ma il patrimonio cromosomico non è più quello né dell'uomo né della donna: è un patrimonio nuovo, diverso da quello di 'lui' o di 'lei'. Una nuova vita.
Da questo capiamo due cose sui fatti di cui si diceva all'inizio. Anzitutto, è ben diverso brevettare un ovocita o un embrione: l'ovocita ha 23 cromosomi, quelli della donna di cui l'ovocita è un 'pezzo', e non ha capacità di crescere; l'embrione ha 46 cromosomi, un misto di quelli della madre e del padre, e cresce. Inoltre, provare a trasformare una cellula della pelle in staminale può essere una cosa buona, perché potrebbe consentire di curare malattie, ma pensare che, rendendola staminale, possa essere messa nell'utero e fatta crescere è un passo eccessivo perché le caratteristiche per consentire uno sviluppo nel grembo materno le ha l'ovocita e non la cellula della cute. Quando poi questo riuscisse a crescere, semmai si parlerebbe di clonazione e non di fecondazione. Ma sulla clonazione tutti oggi hanno qualche remora. È nota infatti la differenza tra un ciliegio e l'uomo: per far riprodurre un ciliegio basta prendere un seme e metterlo sotto terra, il seme poi farà tutto il lavoro; per far riprodurre l'uomo invece serve un duplice passaggio più complesso e affascinante: le due cellule che dicevamo prima si devono prima di tutto fondere e dar vita a un embrione (se mettiamo nell'utero un ovocita viene espulso dopo poco), le cellule che si fondono devono poi provenire da due individui di sesso diverso che conferiscono a ovulo o spermatozoo un 'tocco' che gli scienziati chiamano 'imprinting genomico'. Senza questo 'tocco' paterno sullo spermatozoo l'embrione crescerà male, senza il tocco materno sull'ovocita l'embrione si attaccherà male all'utero. Questa firma mancherebbe anche alla cellula della cute che si trasformasse addirittura in spermatozoo: problema che pare un'inezia, e invece ha le dimensioni di una voragine. Come risolverlo? Con tentativi e 'scarto' di embrioni difettati? Serve enorme cautela sui gameti fai-da-te, privi di questo 'tocco'.
Attenzione dunque ai proclami di novità mediche che in campo riproduttivo fanno sembrare tutto facile, come se tra ciliegio e uomo non ci fosse differenza, né biologica né morale.
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