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Uno degli scienziati più ammirati da Piergiorgio Odifreddi, è certamente James Watson, noto biologo statunitense a cui chiede frequenti interviste e che omaggia con definizioni come «il più famoso scienziato vivente» e «noto anticonformista».
Il motivo di questo ossequio da parte dell'ex "matematico incontinente" non è certo per la grandezza scientifica di Watson, il quale, assieme a Francis Crick, è sì un premio Nobel per aver scoperto la struttura elicoidale del DNA, ma lo hanno fatto, in parte, impadronendosi di lavori non loro e ottenendo fama a spese di Rosalind Franklin, scippando diverse sue scoperte e servendosi dei suoi lavori non ancora pubblicati. Tanto che l'università di Harvard si rifiutò di pubblicare il libro di Watson, "La doppia elica", in cui si vantava della scoperta facendo infuriare i genitori della Franklin (la donna era morta di cancro nel frattempo) e il suo collega Maurice Wilinks (la vicenda è ben spiegata in B. Maddox, "Rosalind Franklin. La donna che scoprì la struttura del dna", Mondadori 2002).
La stima di Odifreddi è in realtà motivata dal fatto che Watson non ha mai fatto mistero del suo "ateismo scientifico". Nel suo "Dna, il segreto della vita" (Adelphi 2004), il biologo arriva infatti ad affermare che la sua (sic!) scoperta del Dna arriverebbe a penetrare il «segreto della vita», confermando «la rivoluzione del pensiero materialistico dell'Ottocento». Ovvero: nella vita non vi è «nulla di speciale» ed essa «non è altro che una questione di chimica», mentre l'uomo è «il prodotto di lanci casuali dei dadi della genetica» (p.415). Citando queste parole, Francesco Agnoli ha commentato che «se il dna è tutta la vita, e se tutta la vita è riconducibile al dna, allora ogni distinzione tra uomo e uomo, e ogni alterità tra uomini e animali, è riconducibile solo ed esclusivamente ad esso. Di qui al razzismo il passo è breve: la differenza di sviluppo tra bianchi e neri non deriverebbe da dissimili cultura, storie ed educazioni, ma da fattori genetici, e come tale sarebbe incolmabile, eterna, immutabile» (F. Agnoli, "Perché non possiamo essere atei", Piemme 2009, p.102).
Ed infatti Watson è, guarda caso, proprio inciampato nel razzismo. Dopo aver affermato sul "New York Times" che «la moralità è troppo importante per lasciarla nelle mani dei teologi ufficiali. Le persone hanno dei valori e io non voglio che altre persone pensino per me», nel suo libro "Avoid boring people" (2007) ha fatto esplicite affermazioni razziste, sull'inferiorità dei neri d'Africa e sulla loro genetica incapacità di raggiungere determinati obiettivi, tentando di fondarle, senza successo, su determinazioni genetiche: «Le nostre politiche sociali», ha scritto, «sono basate sul fatto che l'intelligenza degli africani è pari alla nostra, ma tutti i test dicono il contrario». Ha riconosciuto come naturale l'aspirazione umana all'uguaglianza degli uomini, ma «le persone che hanno avuto a che fare con dipendenti neri sostengono che non è vero». E ancora: «Non c'è un valido motivo per prevedere che le capacità intellettive delle persone divise geograficamente al momento della loro evoluzione si siano esplicate in maniera identica. Il nostro desiderio di attribuire uguali capacità razionali come una sorta di patrimonio universale dell'umanità non è sufficiente per renderlo reale». Nel 1997 invece affermò che una donna avrebbe dovuto avere il diritto di abortire se dalle analisi fosse emersa l'omosessualità del suo bambino, immediatamente difeso e sostenuto dal suo amico Richard Dawkins.
Sempre nel 1997 firmò a favore della clonazione umana, perché «non esiste un'anima immortale ma soltanto processi elettrochimici». Ha quindi invocato l'eugenetica e la selezione sessuale: «Lasciateci liberare la società dai difetti genetici». In un documentario per la tv inglese ha invitato a modificare geneticamente il dieci per cento dei bambini, che considera "stupidi". E ha proposto una cura genetica per la stupidità perché «Non dobbiamo cadere nell'assurda trappola di essere contro tutto ciò a cui Hitler era a favore».
Questo è "il più famoso scienziato vivente" secondo la definizione estasiata di Odifreddi. Talmente famoso che, proprio in questi giorni, Watson ha annunciato di aver messo in vendita la medaglia d'oro che vinse con il premio Nobel, dopo essere caduto in disgrazia. «Sono diventato una non-persona, dal 2007 è come se io non esistessi più», ha affermato. Il razzismo distrusse la sua reputazione: «Sono stato licenziato dai consigli d'amministrazione, per cui non ho più redditi a parte quello accademico». Anche l'università lo ha comunque emarginato: non può più fare ricerca, dove ha mantenuto solo una carica onorifica. Secondo "Repubblica", tuttavia, non si direbbe che Watson sia veramente pentito, i suoi commenti sembrano escluderlo: «Sembra reputarsi vittima delle convenzioni, delle mode, del "politically correct", più che ritrattare la sostanza».
Il problema è che Watson crede e credeva davvero (al contrario di molti non credenti) al riduzionismo ateo-scientista, al "non siamo altro che", al "siamo solo figli di un'evoluzione cieca", al fatto che "siamo solo" il nostro Dna. Se si prendono sul serio queste convinzioni allora qualunque essere umano con "difetti genetici", come le persone disabili, diventa ipso facto "persona difettosa", per questo Watson invoca l'eugenetica, la modifica genetica degli "stupidi", l'aborto per gli omosessuali (ritenuti imperfezione evolutiva), così si spiega anche il suo razzismo verso i neri. Infatti, è stato sottolineato, se l'uomo è ridotto alla sua identità genetica, esito dell'evoluzione "regolata" dal caso, allora perché non scartare gli "errori statistici", i risultati difettosi, i prodotti mal riusciti o incompleti, dallo scarso o nullo "funzionamento"? Perché far vivere persone destinate all'infelicità difettando della pienezza biologico-vitale? Se l'uomo è solo materia e prodotto casuale dell'evoluzione, è logico che la sua dignità dipenda dalla sua riuscita, dal suo essere adatto. Di più: dalla capacità, dalla forza che ha di affermarla. Ma se Dio c'è, ed è il Creatore dell'uomo – a Sua immagine e somiglianza –, il quale perciò, oltre che cellule, è un'anima immortale, spirituale, razionale e definitivamente incarnata, allora, e solo allora, questa creatura ha un valore trascendente. Cioè, semplicemente, se l'uomo è creatura di Dio, il suo valore prescinde da ogni accidente che caratterizzi il singolo individuo.
Come abbiamo sottolineato nel nostro apposito dossier, lo storico ebreo del razzismo, Lèon Poliakov, ha notato infatti: «Il rifiuto di vedere l'uomo creato a immagine di Dio, fu in buona parte alla base del pensiero determinista e razzista del XIX secolo. Infatti la tradizione giudaico-cristiana era "antirazzista" e "antinazionalista". Per questo l'antropologia della Chiesa ha sempre giocato un ruolo di un freno estremo alle teorie razziste» (L. Poliakov, "Il mito ariano", Editori Riuniti 1999, pag. 245,246,370,371).
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