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Professione? Donatore di figli per la Patria: Laboratorio di fecondazione artificiale
di Rino Cammilleri
Leggiamo che «il ministro della salute, Beatrice Lorenzin, non ha escluso che si possa ricorrere a un provvedimento legislativo d’urgenza in materia» (Il Giornale, 27 luglio u.s.). Donde l’«urgenza», data la «materia»? Boh. La «materia» sarebbero i compensi per i donatori di gameti e le donatrici di ovociti dacché la Corte costituzionale ha praticamente liberalizzato la fecondazione eterologa. Già: ci vuole la materia prima e il settore va disciplinato. Naturalmente non si tratta di vile mercimonio, bensì di «gratificare quanti decidono di cedere ovociti e gameti per andare incontro al desiderio di tante coppie che hanno difficoltà ad avere figli».
I nuovi benemeriti che donano “Figli alla Patria” vanno dunque equiparati ai donatori di sangue o midollo. Solo che questi ultimi salvano vite, mentre loro si limitano a soddisfare il «diritto» (altra sentenza della Suprema) alla prole. In Spagna le donne che donano uova ricevono sui 900 euro di compenso in considerazione dell’«invasività» del trattamento a cui devono sottoporsi per adempiere la loro missione umanitaria. E i maschi? È «verosimile» che la mutua italica ne versi loro anche mille, di euro. Direte: perché, visto che devono solo masturbarsi in una provetta? «Forma di copertura per le spese sostenute o per le giornate lavorative perse». Eggià, c’è chi a donare deve andarci in treno o in taxi, magari in aereo. Per i disoccupati che la banca del seme ce l’hanno vicino casa sarà tutto grasso che cola. Un giovanotto in salute potrebbe recarvisi anche tutti i giorni e diventare ricco senza magari bisogno di ristorarsi col Vov. Certo, dato il ventilato diritto dei figli che avrà sparso per il pianeta di sapere chi sia, una volta maggiorenni, il proprio padre biologico, ci sta che il guadagnato col sudore della fronte debba un giorno restituirlo tutto in alimenti e quote ereditarie. Vabbe’, se la vedrà la solita Corte costituzionale, ormai la vera Vicaria di Dio in terra.
Tuttavia, fatti due conti, la Sanità italiana sembra si stia spaventando. Tant’è che, almeno con le donne, si profila una sorta di spending-review, chiamata (sulla scorta delle già sperimentate car- e bike) egg-sharing, che in italiano vuol dire "condividi-le-uova". Sarebbe questo: poiché le donne che si sottopongono alla procreazione medicalmente assistita producono ovociti in soprannumero, quel che avanza potrebbe essere «donato». Chi consente balza in cima alle liste d’attesa o lucra una riduzione del ticket. Purtroppo un seed-sharing per i maschi pare non sia possibile e con loro bisognerà aprire i cordoni della borsa (a proposito: quale? Quella delle coppie donatarie o, come è più probabile, quella del contribuente?). Ciò li compenserà del disagio psicologico, poverini, di dover effettuare la loro caritatevole attività in una stanzetta d’ospedale sorda e grigia, soli e senza bivacco di manipoli.
I cinesi, che sono molto più avanti di noi, utilizzano totem elettronici dotati di schermo a cristalli liquidi. Il donatore non deve fare altro che appropinquarsi all’apposito foro, regolare la velocità desiderata e azionare il pulsante. La macchina farà il resto, mentre sullo schermo scorreranno immagini appropriate alla bisogna (non stiamo scherzando, la macchina è in libera vendita in internet). Non sappiamo, tuttavia, se simili donazioni siano obbligatorie, in Cina, come quelle del sangue, del midollo e degli organi dei condannati. Com’è noto, il Partito unico non si fa riguardi per la sensibilità dei singoli e la futuristica macchina di cui sopra è stata adottata solo perché si ha a che fare con una delle poche cose che non si possono ottenere tramite brutalità poliziesche.
Per quanto riguarda casa nostra, niente, stiamo a vedere che cosa deciderà il gruppo di esperti che coadiuva il ministro Lorenzin su tutta questa storia. Rimane, però, la domanda con cui abbiamo esordito: donde l’«urgenza»? Forse per non rimanere insensibili al grido di dolore che da ogni parte d’Italia si leva fino alle soglie di Palazzo Chigi? Forse per non restare indietro rispetto alle nazioni più avanzate e bla bla? Forse perché «ce lo chiede l’Europa»? Chissà…
Fonte: La Bussola Quotidiana
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