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Aborto, procreazione assistita e adesso anche l'etrologa: ha senso aumentare le tasse per tutto questo?
di Alfredo Mantovano
Sulla disciplina della PMA-procreazione medicalmente assistita a seguito della sentenza della Consulta, sarà opportuno – quando verrà pubblicato – esaminare il testo del decreto legge, il cui contenuto è stato riassunto due giorni fa in Parlamento dal ministro della Salute. Come già emerso da precedenti anticipazioni dello stesso ministro, la scelta è caduta sullo strumento legislativo e non su un aggiornamento delle linee-guida, allo scopo di evitare contenziosi davanti ai Tar e di garantire procedure omogenee sull’intero territorio nazionale.
Vi è però un aspetto, fra quelli illustrati dall’onorevole Lorenzin, che suscita immediate perplessità: ed è il porre a carico del servizio sanitario i costi del trattamento dell’eterologa. Negli ultimi anni anche il sistema della sanità ha subito tagli di spesa e interventi di cosiddetta razionalizzazione, la cui traduzione in scelte concrete ha provocato reazioni – reparti o interi ospedali sono chiusi sempre fra veementi proteste –, contrastate dal richiamo alla funzionalità dell’insieme. Ricadute della riduzione della spesa sono numerose, spesso dolorose: crescono, per esempio, le segnalazioni di rinuncia da parte delle Oncologie alla somministrazione di farmaci chemioterapici a pazienti che abbiano superato una certa soglia di età. È vero che si tratta di prodotti costosi, ma è altrettanto vero che servono per la sopravvivenza: lasciare queste decisioni, con budget progressivamente ridotti, ai responsabili della singola Asl o del singolo reparto, equivale a scaricare su di loro se e per quanto tempo garantire l’esistenza in vita di Tizio o di Caio, o peggio di Tizio a preferenza di Caio, con varianti da luogo a luogo.
Si obietterà che – pur col pagamento di ticket – la copertura dei costi già avviene per le PMA di tipo omologo, e ciò rende inevitabile l’estensione al tipo eterologo; è agevole replicare: a) che nella sentenza n. 162 della Consulta non vi è un solo passaggio che obbliga a porre a carico del servizio sanitario nazionale il costo dell’eterologa, e in generale della PMA; b) è vero invece che, pur non essendo esplicitato, una eventuale esclusione dell’eterologa dalla copertura finanziaria porrebbe un problema di eguale trattamento rispetto alla omologa, visto che entrambe sono indicate come species del più ampio genus PMA; c) la questione potrebbe essere affrontata e risolta in radice escludendo il costo pubblico di qualsiasi PMA, nelle sue differenti tipologie.
Una simile opzione, già esistente in nazioni ritenute più che civili – si pensi al Regno Unito – non sarebbe in contrasto con la tendenza alla razionalizzazione della spesa pubblica, e avrebbe una spiegazione del tutto logica nella individuazione delle priorità: chi è in pericolo di vita merita la precedenza. Sfido qualsiasi Corte costituzionale a ritenere violata l’eguaglianza a fronte di un provvedimento che tratti in modo diverso situazioni che eguali non sono: contrastare il tumore è questione di vita o di morte, praticare la PMA no. Criteri analoghi sono la regola quotidiana di ogni presidio sanitario: non risponde a essi il colore dei codici, con la rispettiva tempestività di trattamento, da parte di qualsiasi pronto soccorso? La Consulta riterrebbe mai discriminato chi ha ricevuto la qualifica di “codice arancione” rispetto a un “rosso”? E neanche può obiettarsi che il miliardo di euro di cui ha parlato qualche testata giornalistica quale copertura iniziale per l’eterologa in realtà non è disponibile, per cui ci si agita per qualcosa che non c’è. Già da oggi i pazienti oncologici dalla terza età in su sono selezionati per non ricevere cure, a causa del loro costo: l’inserimento di una ulteriore uscita nel bilancio della Salute per l’eterologa comunque comprimerebbe le altre uscite; si immagini che ciò comporti negare anche solo i 2000 euro di uno scatolo di pastiglie antitumorali. Non sarebbe comunque qualcosa di inammissibile? Per dare seguito ai desideri di coppie che vivono il disagio di non avere un figlio, ma non sono in pericolo di vita, si priverebbe di risorse finanziarie la cura di persone con patologie che invece conducono certamente alla morte.
Sarebbe sconfortante se – in aggiunta al resto – la copertura finanziaria della PMA, nelle sue varie tipologie, conoscesse come effetto collaterale ancora più accentuato un incremento di fatto di abbandoni di cure vitali, cioè di eutanasie mascherate.
Fonte: La Bussola Quotidiana
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