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Un editoriale dell’autorevole British Medical Journal, commenta un ampio studio secondo cui lo screening a tappeto radiologico del cancro al seno non porterebbe un vantaggio rispetto ad un controllo periodico clinico. Su questi dati si discuterà nel futuro, ma il dibattito sull’ eccesso di esami in medicina non è una cosa nuova. Pochi anni fa Wolfram Henn scriveva un forte articolo intitolato “consumismo nella diagnosi prenatale”, in cui mostrava l’eccesso di ingresso nella privacy genetica del feto al di là delle linee-guida raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e la Food and Drug Administration metteva in guardia dall’eccessivo ricorso alle ecografie prenatali fatte solo per motivi non diagnostici ma “come souvenir”.
Ma l’eccesso di diagnostica in medicina è frequente, tanto che fu coniato per questo fenomeno il termine di “Sindrome di Ulisse”: cioè spesso al momento di ottenere una risposta di un certo elemento chimico, se ne ottengono altre in semplice aggiunta o perché l’apparecchio è programmato per darle di default anche se non richieste, o per abitudine a chiedere un cosiddetto “profilo” di esami, anche se l’esame davvero necessario è solo uno o due.
E allora, come per il mitico Ulisse, se gli esami accessori fanno sorgere qualche dubbio (perché borderline, perché talora mancano i valori di riferimento adattati all’età del paziente) inizia un lungo viaggio di accertamenti che spesso portano poi ad altri esami, evitabili se l’esame fosse stato davvero mirato. “Il 5% dei pazienti viene etichettato come anomalo” per motivi di limiti di attendibilità delle apparecchiature di laboratorio e non per motivi clinici, spiegava nel 1975 Mercer Rang sul Journal of the Canadian Medical Association, l’ideatore di questa “Ulysses Syndrome”; e “se un soggetto esegue 20 test, il 66% dei soggetti sani avrà per forza almeno un risultato anomalo”
Quando diventerà possibile sequenziale l’intero genoma a pagamento (il proprio o del feto), accadrà lo stesso eccesso di informazioni che porteranno a risposte date a domande che nessuno aveva posto. Dato l’alto numero di cromosomi e la possibilità statistica di un falso positivo in uno dei tanti geni che magari nemmeno hanno a che fare col problema clinico del paziente.
Diversi possono essere i motivi che portano a eccedere con gli esami inutili. Può essere anche una semplice abitudine che non si riesce a cambiare. La sociologa francese Carine Vassy, ha prodotto studi che mostrano un’origine della diagnostica prenatale in Francia con l’alto numero di esami a tappeto che ne consegue, legata a tante ragioni tranne una fondamentale: la reale richiesta degli utenti, in questo caso delle donne.
Un motivo per l’eccesso di esami è il peso medico-legale che sentono i medici – di certe specialità in particolare - sulla loro attività: in certi Paesi si moltiplicano le denunce, quasi tutte senza conseguenze, ma che provocano ansia, nervosismo, percorsi processuali di lunghissima durata e di conseguenza il ricorso ad una medicina difensivistica, certo sbagliata, ma probabilmente comprensibile, fatta di moltiplicazione di esami e di ricoveri, con aggravio sulla spesa pubblica e con disservizio alla popolazione. Se il rapporto tra medico e paziente ha dietro l’angolo la minaccia della denuncia, chi si spingerà più a fare un intervento rischioso o chi non sarà tentato di fare un tranquillo (per il medico) ricovero magari evitabile?
Ci sono due paradossi che illustrano questo scenario. Il primo lo dettano l’ansia e l’eccessivo peso dato alla forza della medicina vista come ancora di salvezza per una popolazione che non sa far i conti con la propria salute. Ed ecco il primo paradosso: nel mondo della tecnologia la medicina resta taumaturgica, esorcizzante. Quante persone ricorrono al medico per trovare nella “compressa” un placebo alla solitudine e quanti vanno via infastiditi se il medico non ha prescritto almeno un esame? Si delega alla medicina la salute riproduttiva (si rimanda la gravidanza nell’illusione che tanto poi ci pensa la medicina anche quando è troppo tardi), si delega la salute fisica (quanti credono che le vitamine sostituiscano sempre una sana alimentazione o una bella passeggiata al sole), si delega la salute mentale (l’uso di ansiolitici e antidepressivi è in costante aumento mentre i rapporti interpersonali sono in drammatico calo qualitativo e quantitativo).
Il secondo paradosso lo ritroviamo in particolare all’inizio-vita, quando l’ansia è così tanta che mettere al mondo un figlio diventa un esamificio: il figlio sarà molto probabilmente unico e a questa unicità si vuole associare una pretesa “perfezione” sia perché la società non accetta chi non arriva ad un certo standard, sia perché nel mondo ipertecnologico ogni imperfezione è spesso vista come un errore o una colpa: colpa di chi concepisce il figlio, colpa del medico, ma comunque non più un dato da curare, ma come qualcosa di cui recriminare.
Ed ecco il secondo paradosso: il riemergere del senso di colpa per motivi non certo religiosi ma per aver infranto il dettame inconscio di accettare solo quanto è senza pecche. Per evitare questo senso di colpa, medici e futuri genitori entrano in un vortice di esami preimpianto, prenatali genetici (in Italia si fanno 100.000 amniocentesi l’anno) per scoprire malattie genetiche gravi o non gravi, perché non si dica di non aver tralasciato nulla, anche se le malattie genetiche purtroppo non sono guaribili.
Ma laddove l’ansia promuove il moltiplicarsi degli esami, il fenomeno - che genera anche alti costi - può essere invertito solo con una maggior fiducia reciproca tra medico e paziente. Serve ricostruire una concezione della vita che veda la malattia come un ostacolo ma non come qualcosa che rende la vita “impossibile”; il recupero di un rapporto medico-paziente meno aziendale o conflittuale; maggior informazione chiara e personalizzata al pubblico; e certezza di un pronto accesso ad un percorso clinico specialistico – che comprenda anche un chiaro supporto sociale - in caso di diagnosi dubbia o certa di patologia.
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