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I sostenitori dell’aborto spesso insistono sul fatto che deve essere legale e prontamente disponibile in modo da ridurre i rischi di salute per le donne. Alcuni studi recenti però dimostrano che l’aborto porta con se considerevoli rischi.
Il 6 settembre, LifeNews.com ha riportato una ricerca in Finlandia, pubblicata sulla rivista Human Reproduction, che aveva raccolto dati sulle 300.858 madri che tra il 1996 e il 2008 avevano partorito per la prima volta in Finlandia. I risultati hanno dimostrato che le donne che precedentemente avevano abortito tre o più volte, avevano possibilità fino a tre volte maggiori di partorire un bambino molto prematuro, ossia nato prima delle 28 settimane.
Secondo una analisi di questi risultati condotta dal dott. Peter Saunders, pubblicata su LifeNews.com, si tratta di uno studio importante, ma non di certo il primo a rivelare questi rischi: “ci sono circa 120 articoli nella letteratura mondiale che hanno dimostrato l’associazione tra aborto e nascita prematura” ha detto.
Nonostante questo lo studio finlandese ha un grosso peso sia per il gran numero di donne che ha incluso, sia perchè controllava fattori come l’età delle madri, il livello socioeconomico e vari altri fattori legati alla salute.
Il 5 settembre il Medical Daily Web site ha riportato come risultati analoghi erano stati ritrovati anche in un altro studio recentemente pubblicato. Il ricercatore-capo Siladitya Bhattacharya, titolare della cattedra di ostetricia e ginecologia dell’Università di Aberdeen, con i suoi colleghi, ha studiato come diversi metodi di aborto influenzano le probabilità di nascita premature in futuro.
Questi professori hanno studiato i dati delle donne scozzesi fra il 1981 e il 2007, e hanno scoperto che l’aborto aumenta il rischio di un parto prematuro in successive gravidanze 37%, rispetto alle donne che non sono mai state incinta in precedenza.
Complicazioni
Lo studio è stato presentato al British Science Festival. Il rischio di complicazioni future per quanto riguarda le gravidanze cresce con ogni aborto. La ricerca dimostra come anche un solo aborto porta già con sè rischi significativi per quanto riguarda la sicurezza delle gravidanze successive.
“Abbiamo scoperto che le donne, che avevano avuto un aborto indotto durante la loro prima gravidanza, erano più a rischio di andare incontro a sofferenze perinatali e materne rispetto alle donne che avevano avuto un parto o nessuna gravidanza precedente”, ha detto Bhattacharya.
Un altro studio recente, intitolato “Tassi di mortalità a breve e lungo termine associati con l’esito della prima gravidanza: Studio basato sul registro della popolazione della Danimarca 1980-2004” è stato pubblicato da David Reardon e Priscilla Coleman.
Questi due studiosi hanno studiato i registri di 463.473 donne che avevano avuto la loro prima gravidanza tra il 1980 e il 2004, 2.238 delle quali erano morte. Secondo un riassunto dello studio, pubblicato dal Medical Science Monitor: “Nella quasi totalità dei periodi studiati, i tassi di mortalità associati all’aborto spontaneo o all’aborto indotto durante la prima gravidanza, erano più alti di quelli associati alla nascita”.
Commentando per il Family Reasearch Council sui rischi dell’aborto, Jean Monahan ha sottolineato che secondo il Centers for Disease Control statunitense, dalla sentenza Roe v. Wade avvenuta nel 1973 ad oggi sono morte almeno 450 donne negli Stati Uniti come risultato di complicazioni dovute all’aborto.
Monahan ha aggiunto che si tratta di una stima bassa, dato che molti stati non riportano i loro dati sull’aborto. Tra questi c’è la California che conta all’incirca un quinto di tutti gli aborti negli Stati Uniti.
Ha commentato anche sui rischi dell’aborto mediante sostanze chimiche, col farmaco RU-486. Secondo il Food and Drug Administration dall’aprile 2011 (10 anni e mezzo dopo l’approvazione negli Stati Uniti del farmaco RU-486), ci sono stati 2.207 denunce di complicazioni. Ciò include 612 ricoveri in ospedale, 339 trasfusioni di sangue e 11 morti.
Mortalità materna
Informazioni aggiuntive sui rischi dell’aborto sono arrivate in un articolo pubblicato il 6 settembre dal Catholic Family and Human Rights Institute. Secondo Wendy Wright in uno studio dallo Sri Lanka si è scoperto che nei paesi in via di sviluppo un diffuso abuso dell’aborto “ha portato ad aborti parziali o settici incrementando la mortalità e la morbilità materna”.
Studi ulteriori fatti dall’Association for Interdisciplinary Research in Values and Social Change, hanno dimostrato che l’RU-486 ha alti tassi di complicazione, con rischi maggiori per le donne dei paesi in via di sviluppo.
In Vietnam ad esempio una donna su quattro che avevano usato il farmaco si è dovuta sottoporre ad una ulteriore operazione chirurgica per abortire a causa di un’azione incompleta del farmaco.
Wright calcolò che, dal momento in cui è stato legalizzato, almeno 14 donne sono morte negli Stati Uniti a causa all’uso del farmaco RU-486.
Nonostante tutto la spinta a rendere L’RU-486 disponibile continua. Fino ad adesso in Australia solo un piccolo numero di dottori erano autorizzati ad amministrarlo, ma adesso le farmacie potranno venderlo a seguito della decisione del Therapeutic Goods Administration, come è stato riportato dai giornali australiani il 31 agosto.
Negli ultimi sei anni in cui il farmaco RU-486 è stato reso disponibile in Australia, le cifre del TGA mostrano come vi sono stati 793 casi di “complicazioni” derivanti dall’uso del farmaco.
Wendy Francis dell’Australian Christian Lobby ha commentato: “Alle donne che affrontano una gravidanza senza sostegno, la nostra società dovrebbe offrire delle vere scelte, non delle sostanze chimiche pericolose per avvelenare il figlio non ancora nato”. Un punto valido, non solo per l’Australia, ma anche per gli altri paesi.
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