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PIU' NASCITE CREANO PIU' RICCHEZZA
La crisi dipende anche da scelte demografiche sciagurate del passato
di Tommaso Scandroglio
“Prega per noi ora e nell'ora della nostra nascita”. L’aforisma è di Thomas Eliot e ben si attaglia al contenuto del Messaggio per la Giornata nazionale per la vita della Conferenza Episcopale Italiana, giornata che cadrà il prossimo 2 febbraio. Il documento, dal titolo “Generare futuro” e pubblicato lo scorso 4 novembre, tra gli altri aspetti tocca anche quello dell’aborto e fa comprendere come questo fenomeno sia la prima causa del rigidissimo inverno demografico che sta colpendo l’Italia da anni, inverno che non conosce stagioni tanto si è fatto lungo. Infatti se andiamo a prendere l’ultima Relazione del Ministro della Salute sullo stato di attuazione della legge 194, resa pubblica lo scorso 13 settembre, si scopre che gli aborti sono circa un quinto dei nati vivi. In altre parole su cinque bambini concepiti uno non vedrà mai la luce. Senza l’aborto dunque il paese avrebbe il 20% in più di nascite ogni anno.
Non solo, ma correttamente i vescovi fanno osservare che «è davvero preoccupante considerare come in Italia l’aspettativa di vita media di un essere umano cali vistosamente se lo consideriamo non alla nascita, ma al concepimento». L’aborto quindi si situa tra le prime cause di decesso nel nostro Paese e non solo da noi.
Ma torniamo alle pratiche abortive, capaci di svuotare le culle italiane. Oltre all’aspetto morale, il primo elemento di giudizio che deve essere tenuto in conto, l’aborto fa male anche alle nostre tasche. Scrivono infatti i vescovi: «L’alleanza per la vita è capace di suscitare ancora autentico progresso per la nostra società, anche da un punto di vista materiale. Infatti il ricorso all’aborto priva ogni anno il nostro Paese anche dell’apporto prezioso di tanti nuovi uomini e donne. Se lamentiamo l’emorragia di energie positive che vive il nostro Paese con l’emigrazione forzata di persone – spesso giovani – dotate di preparazione e professionalità eccellenti, dobbiamo ancor più deplorare il mancato contributo di coloro ai quali è stato impedito di nascere».
Si parla tanto di crescita economica eppure la soluzione più efficace è sotto gli occhi di tutti: aboliamo l’aborto. Naturalmente è solo una bestemmia pensarlo per un qualsiasi nostro politico, anche per quelli (sedicenti) cattolici, eppure gli studi ci dimostrano che laddove è maggiore la popolazione maggiore è la crescita del Pil, perché ci sono più persone che consumano e che producono. Lo dimostrano la Cina e l’India con tassi di crescita della popolazione e della produzione ugualmente importanti, lo dimostra anche l’allarme che tutti lanciano sul fatto che in futuro ci saranno sempre più anziani sulle spalle di pochi giovani produttivi: la famigerata piramide rovesciata.
Ma lasciamo la parola a chi ha studiato a fondo il problema della relazione tra crescita demografica e crescita economica. L’economista Ettore Gotti Tedeschi così si esprime: «Qualche mese fa si lesse sui giornali che il reddito delle famiglie italiane era tornato indietro di 27 anni. No, in realtà era cresciuto illusoriamente in 27 anni, sostituendo la crescita consumistica a una crescita equilibrata della popolazione, nella illusione folle che non facendo figli si sarebbe diventati più ricchi. Ma la natura ha dimostrato il contrario, o persino peggio: senza fare figli non si può neppure più mantenere i vecchi» (“Come cresce una società”, Formiche, n. 85, Ottobre 2013). Sul Corriere della Sera di qualche anno prima poi aveva così puntualizzato: «La crisi in corso nasce grazie al crollo delle nascite nel mondo occidentale, iniziato intorno al 1975. Tale caduta ha provocato la flessione dello sviluppo economico, l'aumento dei costi fissi (i costi sociali, con sanità e farmaci) a causa dell'invecchiamento della popolazione» e di conseguenza «l'aumento delle imposte e il crollo del tasso di crescita del risparmio prodotto» (“Riprendiamo a fare figli e l'economia ripartirà”, Corriere della sera, 23.7.2010).
In modo analogo così si esprime l’economista Roberto Giorni: «Per Malthus, senza una volontaria restrizione delle nascite qualunque progetto di miglioramento sociale era destinato a fallire, sconfitto dalla demografia». Ma i fatti lo hanno ampiamente smentito e infatti così chiosa Giorni: «In Europa si sono indebitati gli Stati per sostenere i costi sociali derivanti dalla mancata crescita demografica» (“Crisi economica e demografia”, Studi cattolici, n. 631, settembre 2013).
Giunge a conclusioni simili anche il premio Nobel per l’economia Friedrich August Von Hayek: «L'odierna idea che la crescita della popolazione minacci di produrre un impoverimento a livello mondiale è semplicemente un errore» (“La presunzione fatale. Gli errori del socialismo”, Rusconi, Milano 1997).
Giudizio condiviso anche da Gianluca Ansalone, consulente della Presidenza della Repubblica per l’Analisi internazionale e di sicurezza che in tal modo dipinge il nostro prossimo futuro: «I paesi industrializzati conosceranno un fenomeno generalizzato di decrescita della popolazione e di progressivo invecchiamento, con un aumento dell'età media. […] II peso demografico dell'Occidente rispetto al totale mondiale diminuirà del 25%, spostando rilievo e importanza economica verso i Paesi emergenti, che presentano tassi di crescita della popolazione (e, quindi, una capacità di impiego di forza lavoro giovane) più significativi. […] Queste dinamiche avranno, come ampiamente evidente, un impatto profondo sulla crescita economica e sulla capacità di generare ricchezza, sul peso del debito pubblico, gonfiato dalla spesa previdenziale e sanitaria, e sulla capacità, infine, di promuovere innovazione tecnologica e di investire in sicurezza e difesa. […]Lo tsunami demografico produrrà fenomeni macroscopici sotto il profilo economico e sociale e dal punto di vista dei rapporti internazionali: forti squilibri e tensioni tra continenti con trend demografici opposti; rischio ulteriore di un rapido declino dell'Europa e fenomeni di forte tensione sociale; massicce emigrazioni dall'Africa e dall'America Latina». E conclude affermando che negli anni a venire per i paesi dell’Occidente si assisterà ad «una contrazione permanente dei volumi di produzione e del Pil, i cui ritmi di crescita non potranno essere sostenuti a fronte di una diminuzione costante della popolazione totale e della forza lavoro disponibile».
Quali dunque i rimedi? «Una politica demografica e di welfare adeguata – continua Ansalone - appare come la prima, necessaria e più importante risposta per stabilizzare il futuro delle economie di mercato. Incentivare la natalità e consentire alle donne di avere un ruolo sociale ed economico più attivo, perfettamente conciliabile con la maternità, sono la precondizione per qualsiasi modello di sostenibilità sociale» (“Bomba demografica: geopolitica e demografia, indicazioni per un prossimo futuro”, Gnosis, 3, 2010).
Non solo, ma correttamente i vescovi fanno osservare che «è davvero preoccupante considerare come in Italia l’aspettativa di vita media di un essere umano cali vistosamente se lo consideriamo non alla nascita, ma al concepimento». L’aborto quindi si situa tra le prime cause di decesso nel nostro Paese e non solo da noi.
Ma torniamo alle pratiche abortive, capaci di svuotare le culle italiane. Oltre all’aspetto morale, il primo elemento di giudizio che deve essere tenuto in conto, l’aborto fa male anche alle nostre tasche. Scrivono infatti i vescovi: «L’alleanza per la vita è capace di suscitare ancora autentico progresso per la nostra società, anche da un punto di vista materiale. Infatti il ricorso all’aborto priva ogni anno il nostro Paese anche dell’apporto prezioso di tanti nuovi uomini e donne. Se lamentiamo l’emorragia di energie positive che vive il nostro Paese con l’emigrazione forzata di persone – spesso giovani – dotate di preparazione e professionalità eccellenti, dobbiamo ancor più deplorare il mancato contributo di coloro ai quali è stato impedito di nascere».
Si parla tanto di crescita economica eppure la soluzione più efficace è sotto gli occhi di tutti: aboliamo l’aborto. Naturalmente è solo una bestemmia pensarlo per un qualsiasi nostro politico, anche per quelli (sedicenti) cattolici, eppure gli studi ci dimostrano che laddove è maggiore la popolazione maggiore è la crescita del Pil, perché ci sono più persone che consumano e che producono. Lo dimostrano la Cina e l’India con tassi di crescita della popolazione e della produzione ugualmente importanti, lo dimostra anche l’allarme che tutti lanciano sul fatto che in futuro ci saranno sempre più anziani sulle spalle di pochi giovani produttivi: la famigerata piramide rovesciata.
Ma lasciamo la parola a chi ha studiato a fondo il problema della relazione tra crescita demografica e crescita economica. L’economista Ettore Gotti Tedeschi così si esprime: «Qualche mese fa si lesse sui giornali che il reddito delle famiglie italiane era tornato indietro di 27 anni. No, in realtà era cresciuto illusoriamente in 27 anni, sostituendo la crescita consumistica a una crescita equilibrata della popolazione, nella illusione folle che non facendo figli si sarebbe diventati più ricchi. Ma la natura ha dimostrato il contrario, o persino peggio: senza fare figli non si può neppure più mantenere i vecchi» (“Come cresce una società”, Formiche, n. 85, Ottobre 2013). Sul Corriere della Sera di qualche anno prima poi aveva così puntualizzato: «La crisi in corso nasce grazie al crollo delle nascite nel mondo occidentale, iniziato intorno al 1975. Tale caduta ha provocato la flessione dello sviluppo economico, l'aumento dei costi fissi (i costi sociali, con sanità e farmaci) a causa dell'invecchiamento della popolazione» e di conseguenza «l'aumento delle imposte e il crollo del tasso di crescita del risparmio prodotto» (“Riprendiamo a fare figli e l'economia ripartirà”, Corriere della sera, 23.7.2010).
In modo analogo così si esprime l’economista Roberto Giorni: «Per Malthus, senza una volontaria restrizione delle nascite qualunque progetto di miglioramento sociale era destinato a fallire, sconfitto dalla demografia». Ma i fatti lo hanno ampiamente smentito e infatti così chiosa Giorni: «In Europa si sono indebitati gli Stati per sostenere i costi sociali derivanti dalla mancata crescita demografica» (“Crisi economica e demografia”, Studi cattolici, n. 631, settembre 2013).
Giunge a conclusioni simili anche il premio Nobel per l’economia Friedrich August Von Hayek: «L'odierna idea che la crescita della popolazione minacci di produrre un impoverimento a livello mondiale è semplicemente un errore» (“La presunzione fatale. Gli errori del socialismo”, Rusconi, Milano 1997).
Giudizio condiviso anche da Gianluca Ansalone, consulente della Presidenza della Repubblica per l’Analisi internazionale e di sicurezza che in tal modo dipinge il nostro prossimo futuro: «I paesi industrializzati conosceranno un fenomeno generalizzato di decrescita della popolazione e di progressivo invecchiamento, con un aumento dell'età media. […] II peso demografico dell'Occidente rispetto al totale mondiale diminuirà del 25%, spostando rilievo e importanza economica verso i Paesi emergenti, che presentano tassi di crescita della popolazione (e, quindi, una capacità di impiego di forza lavoro giovane) più significativi. […] Queste dinamiche avranno, come ampiamente evidente, un impatto profondo sulla crescita economica e sulla capacità di generare ricchezza, sul peso del debito pubblico, gonfiato dalla spesa previdenziale e sanitaria, e sulla capacità, infine, di promuovere innovazione tecnologica e di investire in sicurezza e difesa. […]Lo tsunami demografico produrrà fenomeni macroscopici sotto il profilo economico e sociale e dal punto di vista dei rapporti internazionali: forti squilibri e tensioni tra continenti con trend demografici opposti; rischio ulteriore di un rapido declino dell'Europa e fenomeni di forte tensione sociale; massicce emigrazioni dall'Africa e dall'America Latina». E conclude affermando che negli anni a venire per i paesi dell’Occidente si assisterà ad «una contrazione permanente dei volumi di produzione e del Pil, i cui ritmi di crescita non potranno essere sostenuti a fronte di una diminuzione costante della popolazione totale e della forza lavoro disponibile».
Quali dunque i rimedi? «Una politica demografica e di welfare adeguata – continua Ansalone - appare come la prima, necessaria e più importante risposta per stabilizzare il futuro delle economie di mercato. Incentivare la natalità e consentire alle donne di avere un ruolo sociale ed economico più attivo, perfettamente conciliabile con la maternità, sono la precondizione per qualsiasi modello di sostenibilità sociale» (“Bomba demografica: geopolitica e demografia, indicazioni per un prossimo futuro”, Gnosis, 3, 2010).
Per amor di logica ci viene però da dire che se l’obiettivo è la ripresa della natalità allora prima di – o insieme a - fare altri figli sarebbe preferibile non uccidere quelli che già ci sono. Non è più semplice?
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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