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PRIMA DI PARLARE DI FECONDAZIONE IN VITRO, CONTROLLATE L’OROLOGIO BIOLOGICO
La natura ha i suoi tempi, inutile illudersi
di Carlo Bellieni

Qualcosa non torna nel tifo dei mass media per ogni novità legislativa che va nel senso di ampliare l’accesso alla fecondazione in vitro. Lo abbiamo visto negli ultimi giorni, tanto che sembra che ogni passo per abbattere i limiti della legge 40 sia una vittoria di chi combatte per avere un figlio. Forse. Ma forse si dimentica che adire alla Fiv risolve solo la punta dell’iceberg: la sterilità si vince con la prevenzione. Capito che la prevenzione è il 90 per cento delle cose da fare (e che non si fanno), e che la Fiv è forse una cura ma non è prevenzione, si intuisce che il suddetto tifo finisce solo col distrarre dal nucleo del problema. La prima prevenzione è fare i figli nell’epoca della vita più propizia, ma la società sposta quest’evento a un’epoca “impossibile”, con la conseguenza che i figli non arrivano più. Problema risolto con la Fiv? Mica tanto. Cade a proposito l’ultimo numero della rivista Family Physician, organo del Royal Australian College of General Practitioners.
Spiega che le donne ignorano i rischi di rimandare la gravidanza nel tempo e hanno un eccessivo ottimismo nell’efficacia della fecondazione in vitro. Aspettare troppo è in sé un rischio per restare sterili. I follicoli ovarici si alterano rapidamente dopo i 38 anni, e le possibilità di impianto dell’embrione sono comunque basse: il 35-40 per cento se la donna ha meno di 35 anni e il 15 per cento al di sopra di quella età. Anche il canadese Journal of Obstetrics and Gynecology ha formulato delle raccomandazioni e la rivista Human Reproduction, in uno studio su un gruppo di studenti americani e israeliani, ha mostrato il basso livello di informazione sui limiti dell’età feconda. Oggi l’età media al momento del primo concepimento è 30 anni, ma anche con la Fiv le possibilità di concepire calano dell’11 per cento per ogni anno che passa. Si dovrebbe fare una seria prevenzione della sterilità. Si potrebbe ricorrere a politiche sociali per le famiglie giovani, o a politiche ambientali contro l’eccesso di sostanze inquinanti che generano sterilità; ma non se ne fa nulla. Forse è impopolare perché fa intravedere alternative alla gravidanza medicalizzata, ormai divenuta un mito. O forse costa troppo in termini di riforme e di interventi ecologici.
Così si lascia un’unica opzione: far figli a trent’anni o affidarsi alla medicina, senza domandarsi perché la sterilità è in crescita e quanti pesticidi, solventi, plastiche, smog che assorbiamo siano delle granate lanciate contro la nostra fertilità cui nessuno mette un serio argine. Qualcuno obietterà che è antidemocratico invogliare a far figli da giovani, perché magari priva le donne di carriera e istruzione, ma obbligo dei governi è proprio quello di armonizzare istruzione e carriera con i tempi biologici. Il pensiero imperante del figlio “quando lo decido io” sembra essere un indice di grande libertà di scelta, ma cozza con l’orologio biologico delle ovaie.
Aiutate le donne a diventare mamme, date loro supporti economici, cancellate le penalizzazioni alla carriera e poi riparliamo di Fiv. E’ paradossale aprire alla fecondazione in vitro e non far nulla in quanto a prevenzione della sterilità. E’ uno sbilanciamento che non sconfigge la sterilità dilagante, ma che porta la gente a protestare richiedendo la soluzione solo della conseguenza e non della causa, cioè a sbagliare bersaglio. Facciamo una seria prevenzione: la salute riproduttiva se ne gioverà, e le tecniche medicalmente assistite ne usciranno ridimensionate.
 
Fonte: Il Foglio