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La società moderna che vive sul culto della perfezione, finisce con l’oscillare tra una fobia dell’imperfezione e l’eccesso opposto.
Ha fatto il giro del web la notizia che in Canada un docente di biochimica dell’University of Saskatchewan ha ipotizzato un fatto di quelli che attirano l’attenzione: ai bambini farebbe bene mangiarsi le “boogers”, cioè… le “caccole” del naso. È una notizia “buffa”, a qualcuno può anche dar fastidio, e soprattutto non è frutto di uno studio di cui è il risultato, ma è solo un’ipotesi. Dunque non è certo da suggerire né da emulare nonostante il polverone mediatico. Infilarsi le dita nel naso non è da consigliare a nessuno; ma in una “società del rifiuto” che finisce con l’essere eccessivamente legata all’idea di perfezione nelle cose nelle persone e nei rapporti… si rischia l’eccesso opposto: la mania per l’igiene, che è mania se è eccesso - perché si ha paura di tutto (e di tutti) ciò che non è possibile mettere sotto controllo - e l’eccesso porta problemi.
I problemi sono vari: dall’inquinamento dovuto all’eccesso di saponi, ai rischi che certe sostanze usate per la disinfezione in eccesso possono provocare. Un recente studio pubblicato sul Journal of Hospital Infection di marzo riporta che diminuire il contatto con i germi nostri “commensali” diminuisce la mortalità, ma aumenta il numero di allergie: è la cosidetta “hygiene hypothesis”. Dal mancato contatto con germi cosiddetti “da strada” che immunizzano contro i loro affini “patogeni”, all’idea che si debba rifuggire da qualunque anomalia dove per “anomalia” non si intende qualcosa di pericoloso per la salute, ma semplicemente qualcosa di imprevisto o “irregolare”, come la buccia di una mela picchiettata da un uccellino.
È un eccesso schizofrenico quello di una società che da una parte inietta paura per i germi nelle pubblicità, come se fosse indispensabile per la salute la caccia al germe e come se invece i germi non fossero nostri accompagnatori quotidiani nel nostro intestino, nella nostra pelle; e d’altra parte l’esaltazione dei germi da comprare e ingerire per rafforzare le difese immunitarie. C’è del vero in entrambe le cose, ma l’eccesso finisce col confondere le idee. Ma non sarà un tratto proprio della nostra società quello di non concepire più la vita come complessità, in cui anche l’imprevisto e l’imperfezione rientrano come parti proprie di essa, e fuggire in maniera eccessiva dall’imperfezione (e dall’imperfetto), cosa che determina sprechi antiecologici ed emarginazione di chi ha una “differenza” dalla norma?
Tanto da finire col credere “vita indegna di essere vissuta” quella che non è conforme alla norma, alle aspettative, alla media, anche in noi stessi che finiamo col non saperci più accettare se non rientriamo nei canoni della normalità proposti e imposti dai media. In fondo, la nostra è la società del rifiuto: dal rifiuto di noi stessi quando ci sentiamo meno che perfetti si passa al rifiuto delle cose e alla creazione (prima volta nella storia del mondo!) della “monnezza” che una volta non esisteva perché si riusava tutto; e infine si passa al rifiuto.
E alla fine la società del rifiuto porta a considerare “rifiuti” anche le persone che non sono “al top”, prima che nascano, o quando sono adulti, ma malati o nei guai per altri motivi. È significativo l’allarme di Zygmunt Bauman (Consumo, dunque sono, 2008: Ed. Laterza, Roma): accanto a quelli urbani, la società consumistica produce “rifiuti umani”, entrambi assimilati da una presunta inutilità.
Insomma, stiamo attenti: l’igiene è importante (guai a trascurarla), ma l’eccesso di paura è immotivato, è segno di insicurezza, di bisogno eccessivo di controllo; porta a sprechi e ad altri tipi di rischi. Soprattutto nasce in una società che non sa più concepire l’irregolarità e pensa che – a differenza delle patologie che devono essere curate e dei veleni che devono essere eliminati – le differenze e le irregolarità siano un rischio invece della possibilità di un arricchimento e una conoscenza.
È bene che i bambini non si infilino i diti nel naso, lo ribadiamo, ma attenti a non proibire loro di star troppo lontani dal giocare con la terra, con gli altri bambini e magari con i bambini che appaiono diversi e hanno particolari esigenze di salute: dalla diversità (e quanto ancora c’è da fare nella cura e nella prevenzione delle malattie!) c’è sempre da imparare.
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