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«Beatissimo Padre, questa nuova ondata contro la Santa Sede non deve farci paura. È vero che la Chiesa anche in questa occasione ha preso posizione per il bene e la salvezza dell'umanità, difendendo i bambini e con essi il domani. Forse anche in sede politica si potrebbero ancora salvare le cose se ci fosse il convincimento che 'la salvezza dei bambini' è il valore assoluto da difendere oggi». Lo scriveva Giorgio La Pira a Paolo VI il 27 gennaio 1977. Erano i mesi caldi del dibattito sull'aborto. L'ex sindaco di Firenze sarebbe morto il 5 novembre dello stesso anno, prima dell'approvazione della legge 194 al Senato il 19 maggio 1978 e la promulgazione il successivo 22 maggio. Ma il suo impegno su questi temi, pur nel rispetto della persona che da parte sua non veniva mai meno, «fu forte e originale», come ebbe a dire Marco Carraresi, consigliere regionale dell'Udc in Toscana quando nel 2004, nel centenario della nascita di La Pira (che era nato a Pozzallo, in provincia di Ragusa, il 9 gennaio 1904), curò un fascicolo sul pensiero del 'sindaco santo' in rapporto a difesa della vita e della famiglia.
«Nel caso del tema dell'aborto – spiega Carraresi – si può dire che la questione fu una delle ultime che lo assillò fortemente, poco prima di morire, e per la quale intervenne in modo deciso». Ne sono prova (oltre all'articolo pubblicato sull'Osservatore Romano e di cui diamo conto a parte) le lettere e i numerosi telegrammi inviati all'inizio del 1977, oltre che al Papa, al presidente del Consiglio dei ministri e ai segretari di partito.
«Torno a raccomandarti vivissimamente di fare il possibile perché non sia reso legale l'aborto in Italia, vero delitto del secolo contro la legge di Dio», scriveva il professore all'allora capo del governo Giulio Andreotti.
«Caro Berlinguer – scriveva invece al leader del Pci il 30 gennaio 1977 – riflettendo sulla votazione dell'altro giorno mi pare evidente che ancora tra voi c'è un profondo disagio per questa legge totalmente errata: pensaci, lasciala cadere, farai il bene del popolo italiano ancora sano e buono. Questi problemi sono troppo gravi o travalicano il campo politico. Andiamo avanti invece con leggi in aiuto più serie e più umane». Al segretario del Partito comunista faceva presente che sarebbe «un errore politicamente immenso» votare questa legge, «che ci fa tornare indietro nel cammino percorso, proprio nel momento in cui era invece necessario andare avanti insieme».
A Benigno Zaccagnini, segretario della Democrazia cristiana, La Pira riferiva delle lettere ad Andreotti e a Berlinguer, aggiungendo che doveva essere lui, in quanto capo della Dc, a opporsi con tutte le forze «affinché questo 'delitto del secolo' non avvenga». «Ti prego con tutto il cuore – implorava il professore – di premere e se necessario arrivare anche a forti decisioni ma di non cedere». E citava, nell'occasione, un articolo di Carlo Casini, fondatore del Movimento per la vita, il quale ancora oggi dice di avere «viva memoria di un lungo e significativo colloquio con La Pira, durato quasi un intero pomeriggio nel convento della 'Maddalena' a Firenze.
Chiunque ha incontrato La Pira – racconta Casini – se lo ricorda come uomo di speranza ( spes contra spem, ripeteva sempre) e perciò della gioia, della fiducia, del sorriso, della battuta incoraggiante e allegra. Ma quella sera La Pira era serio, persino cupo. Parlammo anche di aborto, perché egli doveva prepararsi per un dibattito e la legge permissiva già era all'orizzonte». Quella sera La Pira, abituato a parlare di muri da perforare, a partire dalla cortina di ferro, «parlava di un altro muro, più alto e più duro del primo, che si stava innalzando: quello, appunto, dell'aborto».
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