Amici del Timone n�24 del 25 settembre 2013

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1 COMUNICATO STAMPA DI SCIENZA & VITA
Non vogliamo la legge bavaglio: il reato di omofobia, se approvato, restringerà gravemente la libertà di pensiero in Italia
Fonte: Scienza & Vita di Siena
2 COME IMPOSTARE IL MATRIMONIO ED EDUCARE I FIGLI SECONDO IL PROGETTO DI DIO
Il ritiro per famiglie organizzato ad agosto a Colle Val d'Elsa con la presenza di Mario Palmaro ha visto la partecipazione di oltre 70 persone da tutta la diocesi e oltre!
di Paolo Delprato - Fonte: Toscana Oggi
3 ABORTO
Come ci interroga umanamente?
di Carlo Bellieni - Fonte: Dizionario di Bioetica
4 L’ESSERE UMANO NON E’ IL CANCRO DEL PIANETA
Il rispetto del Creato prevede il rispetto della vita umana
di Carlo Bellieni - Fonte: L'Occidentale
5 L’IPOCRISIA DELLA LEGGE 194
Il racconto di chi ci è passato...l’ipocrisia della prassi dell’applicazione di una Legge che molti vogliono dirci ‘‘inevitabile’‘ e la commovente storia di una famiglia
di Testimonianza di Concetta Mallitti - Fonte: Tempi
6 ACCOGLIERE IL DIVERSO VA DI MODA...TRANNE CHE SE SI TRATTA DI UN FIGLIO
La prima sfida a cui siamo chiamati è accogliere il diverso più indifeso...per questo la difesa della vita è un principio non negoziabile...perché è difficile essere accoglienti se non lo si è con un figlio
Fonte: UCCR
7 CACCIA ALLE STREGHE CONTRO GLI OMOFOBI
Perché la legge sull’omofobia sarebbe un pericolo per tutti
di Gianfranco Amato - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
8 PRONTUARIO PER CHIARIRSI LE IDEE ED EVENTUALMENTE CHIARIRLE A CHI INCONTRIAMO
Ecco perchè l’aborto non può mai essere una risposta.I luoghi comuni sul delitto più grave del nostro tempo.
di Corrado Gnerre - Fonte: I Tre Sentieri
9 COMFORT CARE PER NEONATI TERMINALI
Intervista alla neonatologa Parravicini che si prende cura della vita fino all’ultimo istante, anche se dei più piccoli...
di Anna Fusina - Fonte: ProLife News
10 PAPA FRANCESCO ALLA GMG: NESSUNA VITA E’ INUTILE
Anche il bambino anencefalico va amato fino alla morte naturale: non si elimina la sofferenza eliminando il sofferente come vuole la ‘‘cultura dello scarto’’ come l’ha definita il Papa
di Giuseppe Noia - Fonte: Avvenire

1 - COMUNICATO STAMPA DI SCIENZA & VITA
Non vogliamo la legge bavaglio: il reato di omofobia, se approvato, restringerà gravemente la libertà di pensiero in Italia
Fonte Scienza & Vita di Siena, 4 ottobre 2013

L'Associazione Scienza & Vita di Siena esprime preoccupazione per la recente approvazione da parte della Camera del disegno di legge contro l'omofobia e la transfobia che, di fatto, in caso di approvazione rappresenterà un vero e proprio bavaglio che impedirebbe a liberi cittadini di esprimersi in modo civile su proposte di legge come il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la possibilità di adozione di bambini da parte delle stesse.
Per quanto ovvio, va sottolineato che non è in discussione la volontà di assicurare dignità e sicurezza di vita a ciascuna persona umana; tuttavia, allo stesso tempo non è creando reati d'opinione che si risolvono i conflitti nella società civile che, purtroppo, vanno ben oltre le questioni relative agli stili di vita ma riguardano diritti primari quali quello alla vita, al lavoro, alla casa.
E che la legge Scalfarotto, qualora approvata, potrebbe essere utilizzata per perseguire penalmente non già i comportamenti violenti e discriminatori (peraltro già sanzionati dalle leggi vigenti) quanto piuttosto le opinioni non allineate al pensiero di una parte militante del mondo LGBT, è già dimostrato da numerosi esempi di cronaca, l'ultimo dei quali è relativo ad una nota azienda alimentare che ha dovuto precipitosamente "precisare" affermazioni che oggettivamente si presentavano come mere scelte imprenditoriali di marketing ma che invece sono state immediatamente e violentemente strumentalizzate per scatenare una caccia alle streghe assolutamente sconcertante. Come se un'azienda che decidesse di rivolgere le proprie campagne e prodotti solo ai giovani, dovesse per questo essere accusata di "anzianofobia"!!
Ciò anticipa con chiarezza la situazione che si verificherà all'indomani dell'approvazione della legge.
Per questi motivi, per difendere la libertà di opinione, la famiglia basata sul matrimonio tra un uomo e una donna e il diritto dei bambini di avere un babbo e una mamma, Scienza & Vita di Siena invita tutti a scendere in piazza l'11 ottobre prossimo per una veglia organizzata da "La Manif Pour Tous - Italia" in difesa della libertà di espressione e della famiglia che si svolgerà in diverse città italiane dalle 19.00 alle 21.00. Per la Toscana la veglia si svolgerà a Pisa in piazza Cairoli, detta piazza della Berlina.

Per approfondimenti si può consultare il sito ufficiale de La Manif Pour Tous Italia cliccando qui: http://www.lamanifpourtous.it

La Manif Pour Tous è anche a Siena. Vedi il suo profilo facebook:
https://www.facebook.com/pages/La-Manif-Pour-Tous-SIENA/398995906893696

VIDEO: VEGLIE IN TUTTA ITALIA CONTRO IL REATO DI OMOFOBIA
Ecco il video con la veglia tenuta a Pisa l'11 ottobre 2013 in contemporanea alle veglie organizzate in tutta Italia da La Manif Pour Tous


http://www.youtube.com/watch?v=7ki6PwainXo

Fonte: Scienza & Vita di Siena, 4 ottobre 2013

2 - COME IMPOSTARE IL MATRIMONIO ED EDUCARE I FIGLI SECONDO IL PROGETTO DI DIO
Il ritiro per famiglie organizzato ad agosto a Colle Val d'Elsa con la presenza di Mario Palmaro ha visto la partecipazione di oltre 70 persone da tutta la diocesi e oltre!
di Paolo Delprato - Fonte: Toscana Oggi, 22 settembre 2013

La parola "ritiro" nel corso degli anni è stata utilizzata ampiamente da ambienti e attività che poco hanno a che fare con la dimensione spirituale nella quale è nata. Tuttavia, anche se considerassimo l'utilizzo che di questo termine si fa, ad esempio, nel mondo dello sport, non andremmo poi tanto ad allontanarci dalle finalità che nel campo delle cose dello spirito siamo abituati a dargli. Il ritiro infatti, sia per il corpo che per lo spirito, è un periodo in cui ci vogliamo staccare dal nostro ambiente abituale, dalle nostre attività consuetudinarie, dalle nostre preoccupazioni e spesso dallo stress (anche qui, sia fisico che spirituale), per concederci una pausa e un nutrimento, un "esercizio" che serva da un lato a dedicarci alle cose veramente importanti e dall'altro a darci la carica per affrontare il "campionato" della vita di tutti i giorni con una marcia in più e con una forza interiore maggiorata.
E' quello che io e Marta abbiamo cercato e trovato nel ritiro organizzato dal 2 al 4 agosto 2013 nell'ex seminario di San Francesco a Colle Val d'Elsa e predicato da don Stefano Bimbi, parroco di Staggia Senese. Un ritiro che anzitutto ci ha fatto capire come ormai il concetto di "comunità" si stia estendendo al di là delle appartenenze territoriali e si basi invece spesso sull'affinità spirituale e culturale. Infatti, una delle prime cose che ci ha sorpreso arrivati al convento, è stato scoprire che le famiglie presenti provenivano da diverse parrocchie della nostra diocesi e molte addirittura da tutta Italia. In totale, tra adulti, bambini e baby sitter c'erano una settantina di persone, variamente assortite.
La seconda piacevole sorpresa è stata quella di trovare, a fianco del predicatore "ufficiale", la presenza di Mario Palmaro, giurista e giornalista, conduttore della trasmissione "Incontri con la bioetica" su Radio Maria, e ormai piuttosto noto anche a Siena e dintorni per essere stato più volte ospite di Scienza & Vita di Siena a parlare di bioetica e che ha condiviso con don Stefano la "cattedra" da cui ha dispensato abbondante e ottimo materiale per riflessioni e spunti di vita.
Infine, altra piacevolezza, è stata quella di trovare molte coppie giovani già con 2, 3 figli e comunque aperte alla vita con vero spirito evangelico e fede nella Provvidenza, una rarità ormai purtroppo, anche nei nostri ambienti cattolici.
Tutti questi ingredienti sono alla base di un ritiro veramente ben riuscito che ha visto le predicazioni di don Stefano (la prima sulla nuova Enciclica "Lumen Fidei", la seconda sulla parabola della zizzania e la terza sulla "questione del ripudio" e quindi su sessualità e celibato) alternarsi alle riflessioni di Mario Palmaro (la prima sulla famiglia e la seconda sull'educazione dei figli) con una sintonia di toni e contenuti non comune. Il tutto inframmezzato da momenti di preghiera culminanti con la Messa quotidiana. Non sono mancati momenti di verifica e piacevoli intermezzi di convivialità e gioco.
I contenuti del ritiro ci hanno veramente rinfrancato e ricaricato anche perché grazie ai due predicatori abbiamo potuto apprezzare la ricchezza delle Sacre Scritture e del Magistero della Chiesa Cattolica in maniera diretta e chiara.
Questo ritiro era organizzato principalmente per le famiglie con figli (anche piccoli, grazie al servizio baby sitter), ma don Stefano organizza anche i classici esercizi spirituali al monastero di Rosano dal venerdì alla domenica con diversi turni da ottobre a dicembre. Per informazioni, clicca qui!

Fonte: Toscana Oggi, 22 settembre 2013

3 - ABORTO
Come ci interroga umanamente?
di Carlo Bellieni - Fonte: Dizionario di Bioetica

Realismo
Da «ab-orior», cioè «arrestare nel crescere», l’aborto è la fine della vita di un essere umano, provocata volontariamente, prima della nascita. Deroga dunque dal principio dell’intangibilità della vita umana. Può avvenire secondo le leggi locali, che variano da nazione a nazione. In alcune nazioni l’aborto è illegale. Può essere eseguito con farmaci o con metodiche chirurgiche, o combinando i due sistemi. Il metodo farmacologico implica l’espulsione dell’embrione o del feto che non può sopravvivere fuori dall’utero dopo assunzione di farmaci. Un modo particolare e raro perché vietato in molti Paesi è l’aborto a nascita parziale cioè quando viene preferito far morire il feto dopo averlo estratto in parte ma prima che abbia fatto il primo respiro e duqneu non ancora dichiarato ufficialmente “nato”. L’aborto in Italia è regolato dalla legge 194 del 1978, che lo permette nei primi novanta giorni, e per motivi legati alla salute (sia fisica che psichica) della donna anche dopo i novanta giorni fino a quando il feto non ha possibilità di vita autonoma: oggi la medicina permette la sopravvivenza del feto dalla ventiduesima settimana di gestazione seppur in una percentuale bassa di casi.
La ragione
Da quale contesto sorge il problema-aborto? Dall’incontro di due poli: solitudine e autonomia. La prima è la fatica personale che non trova un appoggio sociale e familiare, la seconda è la teorizzazione che la scelta in solitudine è il massimo della libertà. Esiste una chiara difficoltà nel parlare dell’aborto, tanto che anche chi lo reclama come diritto difficilmente lo spiega nei dettagli. Infatti censurare che il feto è un individuo vivo non è possibile; e questo ben è inteso dalla maggioranza delle donne; il rischio per loro di riportare conseguenze a livello psicologico appare maggiore – o comunque non inferiore –che nelle donne che danno alla luce un bambino. Inoltre, l’aborto farmacologico non sembra essere tanto più «gradito» alle donne che lo hanno eseguito rispetto all’aborto chirurgico: è introdotto per evitare l’ospedalizzazione delle donne, e questo ne accentua la privatezza privatizzazione ma  la privatezza dell’aborto facilita la prevenzione? E la prevenzione occorre: ma il livello sociale e culturale di aiuto nella prevenzione dell’aborto è carente in molte realtà sociali e nazionali.
Come ci interroga umanamente? Condannare l’aborto senza impegnarsi per superarlo è insufficiente. D’altronde l’aborto è una reale anomalia: il fatto stesso che anche chi è favorevole a una sua legalizzazione raramente lo mostri e ne parli in dettaglio è segno dell’imbarazzo e della difficoltà psicologica che provoca; ed è l’unico caso nella medicina in cui (dato che si fa per curare la donna da un possibile rischio per la sua salute) il/la paziente si autodiagnostica la malattia e si autoprescrive la cura. Il corpo del feto dopo l’aborto dovrebbe ricevere lo stesso trattamento destinato a qualunque altro defunto, e associazioni di medici e famiglie chiedono questo. Nel caso di aborto volontario la donna può non avere interesse alla sepoltura del feto; questo non significa che – non essendo il feto parte genetica del corpo della madre – non debba essere trattato con massima dignità.
Il sentimento
Non si può parlare sull’aborto, se non si accetta di mettersi in gioco, di guardare con passione la vita appena concepita, e con passione la madre se si trova in difficoltà e necessita di aiuto. E non si può concentrare il dibattito-aborto sulle tecniche, come se ce ne fosse una «meno grave» e come se avessimo accettato l’aborto come un dato di fatto inarrestabile, di cui ora si discute sui dettagli; non si può nemmeno fare fronte solo con le leggi, ma occorre anche una nuova cultura. Una cultura sociale che parli di disabilità in modo ampio e senza censure, che metta al primo posto nelle leggi finanziarie le famiglie con disabilità, e un’educazione alla bellezza della vita concepita. Scuole di educazione prenatale a superare l’attuale impostazione censoria possono aiutare. È fondamentale che il mondo culturale affronti il problema della «cultura del rifiuto», che colpisce le donne incinte che si sentono rifiutate (per le quali esistono centri di aiuto alla vita ma ancora scarsi e da supportare) e che colpisce la vita umana quando non è prevista o non è perfetta.

Maggiori informazioni http://glossario.webnode.it/aborto/

Fonte: Dizionario di Bioetica

4 - L’ESSERE UMANO NON E’ IL CANCRO DEL PIANETA
Il rispetto del Creato prevede il rispetto della vita umana
di Carlo Bellieni - Fonte: L'Occidentale

“Vegliate su voi stessi e su tutto il Creato” (14 maggio 2013):  il Papa ha mirabilmente alzato il tiro e dato un nuovo significato alle parole che riguardano la difesa della vita. Recentemente, degli ecologisti americani sono rimasti colpiti dalle sue parole sul rispetto del creato e mi hanno comunicato l’interesse per questo insolito (ma in realtà non proprio insolito nella Chiesa) parlare del Papa sul Creato come oggetto di tutela da parte del cristiano.
Non è un parlare insolito per i cristiani, perché senza rispetto per la vita non si ama l’ambiente e il bene dell’uomo, e senza un amore che comprenda ambiente e scelte sociali a favore di chi ha bisogno, la difesa della vita resta zoppa. Ma spesso il dibattito etico era impantanato in una dialettica tra tifoserie, e pareva di vedere una squadra pro-choice e una pro-life che battagliavano e se le davano di santa ragione sui cosiddetti “temi etici”, finendo con due drammatiche conseguenze: la prima, che i “temi etici” restavano molto meno numerosi di quanto siano in realtà e la seconda che quei pochi temi che restavano acquistavano una valenza di “idoli” – seppure con la buona fede di molti. Chi non è restato perplesso vedendo talvolta sul fronte pro-life reagire affannati contro le ultime “innovazioni” etiche quasi scordando quelle precedenti… tanto che chi voleva far passare una discutibile “novità etica”, bastava che ne proponesse una ancor più provocante?
Ora, il Papa ha alzato il tiro e – con l’occhio a tutto ciò che lo ha preceduto – sembra invitare a non inseguire affannati le “novità etiche” (pur non cessando di giudicarle e se necessario prendere provvedimenti). Il costante richiamo alla cura del Creato è un segnale alto per mostrare che il punto non è il singolo atto della singola persona o la singola “novità” (che comunque vanno giudicati), ma la cultura che li genera.
Per capirlo vediamo di rifarci a cosa diceva il Cardinal Bergoglio (ora Papa Francesco) in Argentina. Il 25 maggio 2012 così si esprimeva lamentando la cultura mondana: “Consegniamo le nostre vite e, peggio, quelle dei nostri giovani, alle soluzioni magiche e distruttive delle droghe, del gioco legalizzato, della medicalizzazione facile, della banalizzazione dello spettacolo, della cura feticista del corpo. E i nostri anziani, che per questo narcisismo e consumismo sono materiale scartabile, li gettiamo nella discarica esistenziale. Così la mancanza di amore instaura la <>. Quello che non serve si butta via”.
Capite che il passo che mostra è forte: stigmatizza una cultura che assimila cose e persone in una inutilità generale, come viene stigmatizzato nella tradizione sia della migliore bioetica personalista sia della parte migliore del movimento ecologista. Perché esiste una cultura del rifiuto che nella società occidentale divide le cose e le persone in “quelle che servono” e “quelle che non servono”… e le seconde devono sparire.
In un’altra omelia presente sul web dice ai membri di una congregazione:  “dovete uscire alle periferie esistenziali, laddove l’esistenza delle persone è materia di scarto. E’ un sistema paganizzato, che divide tra “quelli che rientrano nei limiti” e “quelli che sono di troppo”.  Quelli che non rientrano nel sistema sono di troppo e quelli che sono di troppo e quelli che sono di troppo sono scartabili” E continua: “ho apprezzato molto che uno di voi mi abbia detto che era cosa buona che una delle postulanti della vostra congregazione prima di essere ammesae passasse molto tempo nel Cottolengo. Lì sono le frontiere esistenziali. Passare il tempo (e nessuno ti retribuisce) con il malato il ritardato mentale, il malato terminale… perché è la carne di Gesù”.
E’ realmente un tiro ben alzato: perché affronta la cultura, parla di sociologia, mette le mani nella vita e nella tragedia quotidiana, mostrando però una via: superare la cultura del rifiuto (la cultura della discarica), perché quello che il mondo vuole far sparire è la carne di Gesù.
Un discorso di questa altezza attrae il mondo: attrae la cultura ecologista e attrae le mille e mille famiglie toccate dal dolore e dalla fatica e troppo spesso abbandonate dal potere e umiliate da un sistema consumista e pagàno. Avevo spiegato questo concetto qualche tempo fa sull’Osservatore Romano dicendo che la “società del rifiuto” consuma e scarta, finisce per farlo con le stesse persone, diventando autodistruttiva. E nella prima era in cui l’uomo produce rifiuti in maniera irresponsabile, è significativo l’allarme di Zygmunt Bauman: accanto a quelli urbani, la società consumistica produce “rifiuti umani”, entrambi assimilati da una presunta inutilità.
Ed è bello sentire il Cardinal Bergoglio, nell’omelia tenuta all’incontro di catechesi interdiocesano del 2012 dire “Gesù prendeva la vita come veniva. La vita è questa e io la ricevo-  diceva Gesù – Come nel calcio: i rigori li devi parare nell’angolo dove te li tirano. Non puoi scegliere tu come teli calceranno. La vita viene così e la devi ricevere così. Anche se non ti piace. “Che lungi dall’essere una riflessione passiva è l’apertura coraggiosa alla vita e alle sfide; coraggio, parola censurata in un’epoca in cui il grande protagonista è la paura della vita, paura di tutto quello che non hai programmato a tavolino, paura contro cui lo stesso Cardinale Bergoglio mette in guardia in una mirabile intervista TV dal titolo “Biblia, diálogo vigente” del Canal21 (Buenos Aires), ascoltabile sul web, in cui ripete le parole di Gesù - e di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI -: “Non temere”, dice, per mettere in guardia  “Contro i nostri timori che la  nostra fantasia ingigantisce… e ci schiacciano”.
Già, perché non è forse la paura il grande nemico e la grande sorgente delle aggressioni alla vita e alla dignità altrui, dal concepimento fino alle fabbriche, dallo sfruttamento delle donne ai letti in cui qualcuno spesso solo e forse “sentendosi un peso”, chiede di morire? Un tempo forse era la cattiveria e l’egoismo; oggi la popolazione non è nemmeno più egoista: è solo tanto impaurita e tanto sola.

Invece scelta per la vita e scelta per l’uomo vanno di pari passo: scelta per la vita non ancora nata e scelta per l’uomo povero; scelta per la cura del morente e del depresso e scelta per la salvaguardia dell’ambiente in cui l’uomo vive; non a caso laici e credenti si sono incontrati fianco a fianco in alcune lotte contro le manipolazioni genetiche o contro la brevettabilità degli esseri viventi, incontro che potrebbe continuare in tanti altri ambiti dell’alba e del tramonto della vita. E’ l’alba della vittoria sulla cultura della paura, sulla cultura della discarica, sulla cultura del rifiuto. Non è un incontro impossibile.

Fonte: L'Occidentale

5 - L’IPOCRISIA DELLA LEGGE 194
Il racconto di chi ci è passato...l’ipocrisia della prassi dell’applicazione di una Legge che molti vogliono dirci ‘‘inevitabile’‘ e la commovente storia di una famiglia
di Testimonianza di Concetta Mallitti - Fonte: Tempi

«…perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena», (Gv15). Credo di aver sentito questo passo centinaia di volte, ma mai mi sono soffermata ad ascoltarlo con il cuore e così Dio ha visitato la nostra casa proprio per sigillare questa certezza nella nostra vita, la certezza della Gioia Piena. La nostra storia è una storia ordinaria, che trova la sua straordinarietà in questa certezza. È la storia di una famiglia normale, ancora in cammino, verso la conversione nella certezza della vita eterna.
Appena un anno dopo la prima gravidanza ecco che si affaccia alla vita la nostra seconda figlia, io e Michele eravamo felicissimi. Lei era già lì con noi: erano in programma i biscottini a forma di cuore da regalare alla sua nascita, il lenzuolino ricamato dalla nonna, le coccole di tutti noi, per lei avevamo fatto mille progetti.
Ma tutta questa gioia si trasformò in tristezza, dolore e solitudine. Alla 22esima settimana di gravidanza arrivò la diagnosi: displasia tanatofora incompatibile con la vita. Per i medici era già morta: «Signora, è necessario l’aborto terapeutico», questo mi disse il ginecologo che fece l’ecografia. Nessuna parola in merito alla “comfort care”, alla depressione post-aborto, alla possibilità di portare avanti la gravidanza. Niente, solo il bigliettino con su scritto Dott.ssa x, Policlinico x, edificio 9, ore 8.00: «Le dica pure che l’ho mandata io».
Non riesco a spiegare la morte che era in me, non ci sono parole per spiegare il dolore, ricordo solo me, piegata in due, che urlavo: «Dio, consolami, voglio essere consolata». Ma Dio mi sembrava lontano. Il giorno dopo, io e Michele andammo ad aprire la pratica per l’aborto terapeutico. Seguì un iter di tre giorni, in cui mi trovai immersa in un mondo totalmente estraneo a me e che di umano non ha nulla: pareva un “mercato” di donne che andavano a uccidere i propri figli. Quante mamme, quante in una sola mattina! Contai più di 10 bambini che non sarebbero mai nati.
Le scritte sui muri di chi vi era passato erano terribili. Una diceva: «Dio qui è morto». Pensai ad Auschwitz… Non c’era niente di umano nei discorsi che, allegramente, quelle donne si scambiavano tra di loro; senza vergogna raccontavano perché erano lì. C’era la quarantenne esperta già al suo secondo aborto e la ragazzina (credo minorenne) impaurita che chiedeva consigli. L’esperta le diceva di non preoccuparsi e di prendere la Ru468. Una trentenne con già due figli diceva: «Questo sarebbe il terzo, ma da poco ho ripreso la palestra e riconquistato un po’ la mia vita». E poi c’era una donna, con la mia stessa panciona. Mi feci forza e le chiesi: «E tu?». Mi rispose: «Ha la sindrome di Down». Li capii e pensai: «Ma perché se il mio è un aborto terapeutico inevitabile, viene considerato come quello di chi un figlio Down? Non si fa solo per i bimbi incompatibili con la vita?».
La prima luce si accese. Toccava a me, era il mio turno. Ecco la Dott.ssa X, alta, bionda, occhi azzurri, pensai che fosse la donna più bella che avessi mai visto. Mi invitò a sedermi. Mi spiegò che lei avrebbe effettuato l’aborto: «Ti indurrò un parto con le prostaglandine». Ora i sui occhi erano vicini, li osservai, erano azzurri ma vuoti. «Partorirai il feto vivo o morto!», mi disse. Le chiesi: «Vivo?». E lei: «Sì e se capita purtroppo la legge ci impone di rianimarlo». Guardai mio marito e gli dissi: «Io non lo farò mai, e non perché sono cristiana, ma perché sono un essere umano». La Dott.ssa X mi invitò a terminare la pratica e a fare la visita dallo psichiatra, ci andai pensando di tranquillizzare me e mio marito, ma avevo già deciso.
Invece lì conobbi l’ipocrisia più grande. Eccolo lo psichiatra, la superbia in persona, a suo seguito una laureanda inesperta, trattata come un cane. C’era anche la donna con il bimbo Down. Lui aveva le gambe accavallate, disteso come se stesse in poltrona: «Secondo la legge 194 l’aborto terapeutico è permesso per salvaguardare la salute fisica e psichica della donna, inoltre anche la Chiesa non si espone su questi tipi di aborto. Siete d’accordo? Firmate?». «Tutto qui?», pensai. Poi la laureanda ci passò il foglio, l’altra donna firmò e lo passò a me in silenzio.
«Mi scusi – dissi sobbalzando sulla poltrona – io voglio una visita». E lui esterrefatto: «Cosa?». Risposi che ero venuta a fare una visita psichiatrica. Poi continuai: «Lei ha detto che per la legge 194 l’aborto è permesso per la salvaguardia della salute psichica della donna, ma siamo sicuri che non la peggiori? Secondo lei non è più traumatizzante per una donna uccidere il proprio figlio?».
A questo punto fece uscire dalla stanza la laureanda e mi disse: «Ma lei lo vuole fare o no questo aborto?». «No!» risposi, mi alzai e lo salutai. Mi lasciò di ghiaccio quando, con un sorriso cinico e sarcastico, mi rispose: «Tanto fra due giorni tornerà qui e firmerà». Credo che mi pensi spesso, perché era davvero certo che sarei tornata.
Invece il giorno dopo ero felice. Andai in ospedale e spiegai all’infermiera che ero andata lì a ritirare la pratica. Lei era incredula. Alzò la mia cartella clinica e chiamò le altre infermiere «Mallitti è venuta a ritirare la pratica! Avete capito, Mallitti ritira la pratica», poi a me: «Brava fai fare alla natura!». Non osò nominare Dio… come parlare di Dio in quel posto? Ma io ero davvero felice, lasciandomi il reparto alle spalle. Mi voltai solo un momento e vidi la madre del bimbo Down che mi disse: «Ti ammiro, io non avrei avuto la tua stessa forza». La salutai. Avrei voluto dirle: «Vieni via con me». Ma mi mancò la voce e il coraggio che lei mi attribuiva. Ora penso a lei tutti i giorni, penso spesso che per lei non ho fatto niente. Vorrei sapere come sta e che cosa mi direbbe se le chiedessi se sta meglio ora che ha ucciso suo figlio.
Come desiderava mio marito, decidemmo che nostra figlia si sarebbe chiamata Benedetta, perché per la nostra famiglia era una benedizione. I mesi successivi non furono facili, ricevemmo critiche da familiari e medici. Mi sentii dire di tutto: «Come fai a tenere in pancia una bimba che morirà?»; «devi abortire per il bene della tua famiglia»; «il problema te lo devi togliere adesso»; «è un sacrificio inutile, tanto deve comunque morire»; «metti al mondo un essere per farlo soffrire».
Queste sono solo alcune delle parole che mi sentii dire, come se uccidere un figlio avrebbe fatto stare meglio me e lui. Ma insieme arrivarono anche mille fratelli in aiuto, e molte grazie: la prima fu mio marito, uno sposo fedele che mi ha sempre sostenuta, poi l’amicizia di don Antonio e i miei fratelli della comunità Neocatecumenale di Pomigliano d’Arco. Anche mia Madre, mia sorella, mia cugina Teresa e il mio ginecologo di fiducia mi appoggiarono. E come la vedova molesta chiesi preghiere a tutti: «O la guarigione o la grazia di portare una croce insopportabile».
Così il 26 ottobre del 2012 alle 11.08 nacque Benedetta. Mi fecero un cesareo che fu molto doloroso, ma solo fisicamente. Conosco la mia debolezza, per questo in quei mesi di gravidanza cercai di fortificarmi più che potevo con la preghiere. Sentii che mentre entravo nella sala operatoria con me c’erano anche le preghiere delle suore e dei carmelitani e dei loro 150 conventi di clausura, che ad uno ad uno avevo chiamato chiedendo di pregare. Entrò con me l’Eucarestia presa tutti i giorni, le preghiere dei fratelli della mia comunità, di mia madre, dei Servi di Cristo Vivo, di quell’estraneo che mi regalò la sua medaglia miracolosa dicendomi: «Questa me l’hanno regalata per la mia guarigione, io rinuncio alla mia guarigione per tua figlia!!!».
C’era anche la preghiera di quel funzionario del Comune, che pianse con me dopo che mi avevano comunicato che per Benedetta avevano preparato un loculo e che non c’era una culla ad aspettarla. Entrai in sala operatoria più ricca che mai. Alla nascita Benedetta piangeva e respirava da sola. Fu una sorpresa per i medici che dicevano che sarebbe potuta morire subito. Benedetta poi era bella, non un mostro come mi avevano detto i dottori. «Quando ti ho operata e ho preso il viso di tua figlia tra le mani, ho pensato che non avevo mai visto una bimba così bella», queste furono le parole piene di commozione del mio ginecologo.
Nel pomeriggio Benedetta ricevette il Battesimo. Don Antonio fu felicissimo di battezzarla e con lei c’erano la sua madrina, il suo papà e tutti i medici e gli infermieri del reparto.
Michele per due giorni le ha cantato instancabilmente i salmi tenendola per mano. E il 28 ottobre, alle ore 20.30, Benedetta è nata in cielo, l’abbiamo accompagnata con i salmi. Non so perché, ma l’unico che usciva dalla mia bocca era: «Esultate giusti nel Signore, ai retti si addice la lode». Alle ore 20.00 i medici mi dissero che Benedetta sarebbe vissuta ancora per 12 ore. In quel momento mia figlia era fra le mie braccia e le sussurrai: «Benedetta, amore di mamma, se vuoi andare vai. Noi non ti tratteniamo, vai da Gesù e digli che siamo felici di aver messo al mondo una bimba speciale come te, che ci ha insegnato cos’è l’Amore».
Appena le ho detto questo, lei è spirata tra le mia braccia. Ho la certezza della vita eterna ed ho la certezza che l’anima è matura già quando una vita nasce in noi mamme. E che l’anima di Benedetta era pronta, pregustava già la Gioia Piena verso cui non ha esitato un attimo ad andare. Aspettava solo che fossi pronta io: voleva andarsene, ma voleva che la salutassi amandola veramente.
Porto in me il dolore di aver perso una figlia che con i seni pieni di latte non potevo allattare, ma questa non è paragonabile alla felicità piena. Così quando penso a mia figlia mi assale una gioia immensa e so che non viene da me, è una una Gioia Donata. Ringrazio Dio che, come ha combattuto con noi la “buona battaglia”, restandomi fedele nonostante le mie infedeltà. Spesso ci dicono: «Siete stati coraggiosi», ma non è così, noi non siamo gli eroi di una tragedia. Io sono un’indecisa, una debole. Per questo di fronte a una Croce troppo pensante ci siamo aggrappati con tutte le forze a Dio.
Il 30 ottobre, poi, fu celebrato il funerale. La chiesa era stracolma di persone. Erano a centinaia e sembrava tutto fuorché un funerale. Fu una festa con canti, cembali, bonghi, chitarre, perché quando una persona cara muore si è umanamente tristi ma nella Gioia cristiana. Per questo quando la piccola bara bianca entrò in chiesa cantammo un passo del Cantico de Cantici: «Cercai l’amore dell’anima mia, lo cercai senza trovarlo, trovai l’amore dell’anima mia l’ho abbracciato e non lo lascerò mai». Benedetta aveva abbracciato il suo Sposo.
Ciò che mi fece più felice fu vedere alla fine della celebrazione le persone presenti dirci «grazie». Al funerale di mia figlia nessuno mi aveva fatto le condoglianze. Un collega di mio marito pianse dicendo che noi eravamo fortunati, perché avevamo una cosa bellissima che lui non aveva.
Se mi pento di aver anche solo pensato di aprire la procedura per l’aborto, ora capisco che dovevo passare dal vedere quella realtà. Per dire a tutti che non esiste aborto che sia terapeutico e che Benedetta poteva non nascere. Il nostro è stato un “NO” all’aborto, scandaloso per coloro che dicevano che mia figlia doveva morire, perché non conforme alla “normalità”. Ma è proprio attraverso la “stoltezza della Croce”, quella più assurda, che l’uomo può vedere la resurrezione e dire «grazie» a Dio.
Benedetta ha fatto della sua vita una lode a Dio ed io come madre non posso che provare gioia, perché un figlio si fa per ricondurlo a Colui che lo ha creato. Al funerale abbiamo regalato centinaia di segnalibri.
Dicevano così: «Mettere alla luce un bimbo, pur sapendo che deve morire ha un senso, abortire, anche quando ci sono tutti i presupposti medici e legali per farlo, non impedisce al feto di morire come un “rifiuto”, senza nome e buttato chissà dove. Partorirlo significa donargli la dignità di essere umano, con un nome e un’identità, anche se per poche ore, significa battezzarlo e donargli la dignità di cristiano, significa farlo morire nell’amore dei genitori, dei nonni, degli zii e dei familiari, tra le coccole, le cure e le attenzioni di tutti, con un funerale e tutto quello che ogni essere umano dovrebbe ricevere per diritto. Questo è il senso per chi non l’avesse capito! Ciao Benedetta, la tua famiglia è fiera di Te».

Benedetta ora giace e adagiato su di lei c’è un lenzuolino ricamato dalla nonna su cui c’è scritto: «Benedetta Dono di Dio»

Fonte: Tempi

6 - ACCOGLIERE IL DIVERSO VA DI MODA...TRANNE CHE SE SI TRATTA DI UN FIGLIO
La prima sfida a cui siamo chiamati è accogliere il diverso più indifeso...per questo la difesa della vita è un principio non negoziabile...perché è difficile essere accoglienti se non lo si è con un figlio
Fonte UCCR

Il 4 maggio 2013 abbiamo posto una domanda ai grandi volti noti della televisione, come Jovanotti, Claudio Bisio, Diego Abatantuono ecc., che si sono impegnati nella Giornata mondiale delle persone con sindrome di Down per abbattere i pregiudizi e invitare a guardare con occhi diversi queste persone. Abbiamo chiesto loro se avessero anche la coerenza di condannare l’aborto selettivo (o eugenetico) verso queste persone e la discriminazione delle leggi dello Stato che lo permettono. Secondo una accurata indagine del prof. Benedetto Rocchi, professore di economia all’Università di Firenze, il numero è stato tra i 799 e 1309 di bambini down abortiti (stima “pessimista”) nell’anno 2009.
Potremmo anche chiedere alle scalmanate femministe moderne di condannare la diagnosi prenatale che, tra le altre informazioni, individua anche il sesso del bambino e anche nei Paesi occidentali conduce molto spesso all’aborto di bambine: «Se qualcuno sa a cosa serve sapere il sesso del feto a 8 settimane se non ad abortirlo – quando non è del sesso gradito – nei tempi permessi dalla legge, ce lo dica», afferma Carlo Bellieni, neonatologo presso l’Università di Siena, «con buona pace poi delle femministe che ben sanno rispondere a questa domanda, e che ben sanno quale è il sesso più abortito in troppe parti del mondo». Nessuna risposta perché tutto fa parte della grande fiera dell’ipocrisia allestita dai media ogni giorno, d’altra parte le stesse femministe sono a favore delle adozioni gay, ovvero della menzognera condizione per cui un uomo può tranquillamente sostituire una donna (una madre) nella crescita di un bambino, non avendo quest’ultima nessuna capacità propria.
La diagnosi prenatale è una vera e propria caccia agli anomali, alla faccia dell’abolire le differenze come oggi va di moda nei titoli di “Repubblica” e del “Corriere”. Gli esami per fare l’identikit genetico del feto umano aumentano di numero e di complessità anno dopo anno, spiega ancora Bellieni. Con essa il bambino è “schedato “, “braccato”, -pardon, “seguito” – dal suo concepimento, come hanno scritto in un appello i maggiori esponenti della medicina francese: la diagnosi prenatale è divenuta un «mercato della paura». Tanti esami e tante combinazioni di test tutti mirati a ricercare il feto con anomalie genetiche. Tanta ricerca e tanto denaro destinato all’unico fine di scoprire se il feto è come si deve, e come si deve volere, l’ideologia del “figlio perfetto”.
Tuttavia in America le cose sembrano iniziare ad incrinarsi: la rivista del Massachussets institute of technology del 23 aprile si è interrogata sul diritto alla privacy del feto di fronte alla prospettiva di analizzare tutti i tratti genetici prima che nasca:«Quanti genitori abortiranno un feto destinato a essere un adulto calvo? Non credo molti. Ma più di zero», ha scritto l’autore. Dal 26 marzo, inoltre, il Nord Dakota è diventato il primo stato a proibire l’aborto proprio in base ai test genetici, con un particolare riferimento alla sindrome Down.

Ecco il vero abbattimento delle differenze! Chissà quando sentiremo qualche “vip” o leggeremo su qualche quotidiano progressista la frase: “Non abortire un diverso, accoglilo!”.

Fonte: UCCR

7 - CACCIA ALLE STREGHE CONTRO GLI OMOFOBI
Perché la legge sull’omofobia sarebbe un pericolo per tutti
di Gianfranco Amato - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

Per rendersi conto di quanto siano pericolosi gli interventi legislativi in materia di omofobia, basta attraversare la Manica. In Gran Bretagna aleggia un clima da terreur jacobin, che alimenta la preoccupante escalation di quella che è diventata una vera e propria caccia alle streghe contro chiunque possa anche vagamente apparire in odore di omofobia. Per chi stenta a crederci può leggere un intelligente articolo della nota giornalista conservatrice britannica Melanie Phillips apparso sul Daily Mail del 24 gennaio 2011 che ha parlato del rischio di un nuovo maccartismo delle lobby gay, (Yes, gays have often been the victims of prejudice. But they now risk becoming the new McCarthyites).
I casi legali relativi a vittime di questa folle caccia all’omofobo che va avanti da anni non sono isolati ed eccezionali. In nome delle famigerate norme con cui si intende combattere il fenomeno omofobico (e che si tenta di importare anche in Italia) si sta realizzando una vera e propria strategia persecutoria.
Fra i tanti, scegliamo un caso simbolo per ciascuno degli ultimi anni.
- 2009: LA NONNINA INQUISITA
Pauline Howe è un’arzilla nonnina pensionata di 67 anni che ha avuto la malaugurata idea di distribuire volantini a contenuto religioso contro l’omosessualità durante una parata gay il 25 luglio 2009. Immaginabile la reazione dei variopinti manifestanti che, sentitisi offesi, hanno aggredito verbalmente l’anziana pensionata. La signora Howe, ritenendosi vittima di un torto, si rivolge, da brava cittadina, alle autorità pubbliche per far valere i propri diritti e scrive al direttore generale del comune di Norwich, denunciando l’aggressione e restando in fiduciosa attesa che la  giustizia faccia il proprio corso.
Settimane dopo la denuncia, viene presa di soprassalto quando due police officers bussano alla sua porta. Gli agenti spiegano alla sconcertata signora Howe che la lettera da lei scritta rischiava di contenere espressioni omofobiche tali da integrare un ‘hate incident’, ovvero uno di quei casi che debbono essere attentamente indagati. Così, sottopongono la spaventatissima signora Howe ad un interrogatorio di 80 minuti, tanto da meritarsi un titolo ad effetto sul Daily Mail: «The English Inquisition».
Nella lettera contestata, l’ingenua pensionata, dopo aver accennato al fatto che i manifestanti avessero assunto «un atteggiamento verbale aggressivo e violento», ha voluto  incautamente proseguire affermando: «Io ed altri cristiani non intendiamo intrometterci nella privacy delle persone né pretendiamo di impedire comportamenti offensivi nelle abitazioni private. E’ l’esternazione pubblica di una simile indecenza per le strade di Norwich che noi riteniamo offensiva nei confronti di Dio e di molti residenti di Norwich».
La povera signora Howe, poi, ha osato utilizzare, nella prosa imprudente della lettera, espressioni derivate dal linguaggio biblico per descrivere le pratiche omosessuali, spiegando, infine, tutte le esiziali conseguenze di tali pratiche, dalla caduta degli imperi alle infezioni sessualmente trasmissibili. Per questo Pauline Howe riceve una lettera da Bridget Buttinger, vice direttrice generale del Comune di Norwich, con la quale viene avvertita della possibilità che le espressioni da lei utilizzate possano integrare estremi di reato. La zelante funzionaria spiega che l’amministrazione locale ha il dovere, come tutti gli altri enti pubblici, di «eliminare ogni forma di discriminazione». Per tale motivo, precisa alla signora Howe la stessa funzionaria, «il contenuto della lettera è stato ritenuto discriminatorio a causa delle espressioni utilizzate nei confronti di alcune persone per il loro particolare orientamento sessuale», e quindi la stessa lettera è stata «trasmessa all’autorità di polizia». Da qui la sgradita visita dei police officers che, come i due carabinieri di Pinocchio, si erano recati dalla povera signora Howe per notificarle il fatto che lei avrebbe potuto passare da denunciante a denunciata.
Il caso Howe rappresenta un’ottima lezione per tutti i politicanti corretti che nel nostro Paese pretendono di discettare e legiferare sull’omofobia con la grossolanità di chi si ostina a non vedere il rischio che possa essere travalicato il labile confine tra l’offesa ed il diritto alla libertà di espressione e di credo religioso.
- 2010: PREDICATORE ARRESTATO
Shawn Holes è un quarantasettenne americano, sposato e padre di due figli, che è stato arrestato dalla polizia a Glasgow, processato per direttissima e condannato ad una multa di 1000 sterline. Il reato contestato è quello di «commenti omofobici» con l’aggravante del «pregiudizio religioso».
Ecco quello che è successo.
Holes è uno “street preacher”, ovvero un predicatore di strada, figura familiare nel mondo anglosassone, che ha avuto la malaugurata idea di attraversare l’oceano, con un gruppo di colleghi, per svolgere temporaneamente la propria attività in Scozia.
Il 18 marzo 2010, Holes, secondo la versione dei fatti emersa al processo, stava predicando nel centro di Glasgow, parlando genericamente del cristianesimo e del peccato, quando dalla folla gli è stata posta la questione relativa all’omosessualità. Il predicatore, uomo di esperienza e alquanto cauto, risponde che «chiunque, compresi gli omosessuali, hanno bisogno di accogliere Cristo come il Salvatore». Che la domanda, però, nascesse da una provocazione lo dimostra il fatto che tra la folla vi sono alcuni omosessuali – sei o otto –, i quali, mentre si baciano ostentatamente tra di loro, pongono a Holes la domanda: «Cosa ne pensi di questo?». Di fronte a quell’evidenza il predicatore, pur comprendendo di essere vittima di un agguato, non può fare a meno di rimarcare che «l’omosessualità, secondo la visione cristiana, è un peccato mortale e che il peccatore, in caso di mancato pentimento, è destinato alla dannazione eterna».
Quanto basta per incorrere in seri guai. Dopo poco, infatti, si presentano due poliziotti, i quali riferiscono a Holes di essere stati chiamati da due uomini presenti al discorso, e gli contestano di aver affermato che «gli homos devono andare all’inferno». Holes cerca di spiegare che le cose non erano andate propriamente così. Primo, perché lui non usa e non ha mai usato il termine dispregiativo di “homo”. Secondo, perché la questione dell’inferno era dottrinale e non un’espressione offensiva.  La giustificazione, però, non evita al predicatore di essere arrestato e messo in cella.
Il giorno dopo viene portato davanti al magistrato, lo Sheriff  Rita Rae, per violazione del Criminal Justice (Scotland) Act 2003. In quella sede, scioccato e preoccupato per quanto accadutogli, decide di patteggiare una multa di 1.000 sterline, pur negando fino all’ultimo la propria colpevolezza. Holes, infatti, ha spiegato di non essere una persona facoltosa e quindi di non potersi permettere i costi di un processo, e che, inoltre, doveva urgentemente rientrare negli USA perché il padre era gravemente malato.
Interpellato sul caso, il competente Crown Service – corrispondente circa alla nostra Procura della Repubblica – ha tenuto a precisare, per bocca di un suo portavoce, quell’ufficio «prende sempre in considerazione, con estrema serietà, tutti i crimini derivanti da pregiudizio».
- 2011: GUAI PER UN BED & BREAKFAST
Peter e Hazelmary Bull sono due anziani coniugi che affittano la propria abitazione secondo il sistema del Bed and Breakfast, molto comune nel Regno Unito. Avendo rifiutato di accettare sotto il proprio tetto una coppia di uomini omosessuali, Martyn Hall e Steven Preddy, i quali pretendevano di dormire in una camera matrimoniale, sono stati condannati dal Giudice Judge Andrew Ruthford al risarcimento danni in favore della strana coppia, per aver infranto l’Equality Act (Sexual Orientation) Regulations, che impone di trattare le coppie omosessuali unite in civil partnership come quelle regolarmente sposate a seguito di matrimonio.
Tutto ciò, nonostante fosse ben chiaramente comunicata la scelta adottata dai coniugi Bull, fin dal 1986, di concedere una camera matrimoniale solo a coppie sposate, indipendentemente dal fatto che fossero eterosessuali od omosessuali. Quella scelta, infatti, nasceva dalle profonde e radicate convinzioni religiose dei Bull. Il 10 febbraio 2012 la Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado, condannando come gravemente discriminatorio, e lesivo dei diritti della coppia omosessuale, il comportamento dei due anziani gestori del Bed and Breakfast.
- 2012: PUNITO SUL POSTO DI LAVORO
Adrian Smith è un funzionario della Trafford Housing Trust (THT), una housing company con sede nei pressi di Manchester, il quale, a seguito di un procedimento disciplinare, è stato retrocesso ad una mansione inferiore, ed ha subito una decurtazione del 40% del proprio stipendio, passando da 35.000 a 21.000 sterline. Praticamente una multa di 14.000 sterline applicata ogni anno. L’accusa è quella di “gross misconduct”,  indisciplina talmente grave (come furto o violenza) da giustificare persino il licenziamento in tronco di un dipendente. Smith è stato “graziato” da questa sanzione estrema solo per il suo ottimo curriculum e per il suo impeccabile comportamento tenuto in diciotto anni di onorato lavoro.
Questi i fatti che hanno portato i dirigenti della THT ad assumere un così severo provvedimento disciplinare. Adrian Smith avrebbe rilasciato presunti commenti “omofobici” nella propria pagina di facebook personale. I commenti consistevano, in realtà, nell’obiezione alla pretesa di celebrare i matrimoni omosessuali in chiesa. «Io non capisco», ha scritto Smith, «perché persone che non hanno fede e non credono in Gesù Cristo devono sposarsi in chiesa; le Sacre Scritture sono assolutamente chiare sul fatto che il matrimonio sia l’unione di un uomo e di una donna». Aggiunge persino questa affermazione: «Se lo Stato intende riconoscere il matrimonio civile tra omosessuali, può benissimo farlo, ma non può imporre le proprie regole nei luoghi destinati alla fede ed alla coscienza».
L’errore commesso da Smith, secondo la THT, è quello di aver specificato la propria posizione lavorativa nel suo profilo facebook, e quindi di aver leso gravemente l’immagine dell’organizzazione, associandola a quelle espressioni ritenute di contenuto omofobico. Tra l’altro, il comportamento di Smith sarebbe anche andato contro la policy aziendale della THT ispirata ai concetti di «inclusione e tolleranza» (sic!).
- 2013: L’INTERROGATORIO DEL PREDICATORE
Per il 2013 è sufficiente leggere l’interrogatorio dello “street preacher” Tony Miano, pubblicato su questo giornale.
Come tutti i frutti velenosi delle degenerazioni ideologiche, anche questa isteria collettiva che tende ad identificare gli omofobi come gli untori manzoniani del XXI secolo, finisce inevitabilmente per tradursi in deprecabili atteggiamenti di intolleranza. E’ così che è sempre accaduto nella Storia ogni volta che i discriminati si sono trasformati in discriminatori.
Quando si leggono storie di cronaca del tipo di quelle sopra narrate non si può non pensare alle parole del presidente americano Roosevelt contenute nel suo celebre messaggio al Congresso del 6 gennaio 1941, noto come il discorso delle “quattro libertà”: «Nel futuro che noi cerchiamo di rendere sicuro, desideriamo ardentemente un mondo fondato su quattro libertà fondamentali dell’uomo. La prima è la libertà di parola e di espressione, ovunque nel mondo. La seconda è la libertà religiosa per qualunque credo, ovunque nel mondo. La terza è la libertà dal bisogno, ovunque nel mondo. La quarta è la libertà dalla paura, ovunque nel mondo».

In quel lontano 1941 Roosevelt, pronunciando quelle parole, pensava alla tragica situazione delle dittature europee, alla Germania nazista ed all’Unione Sovietica comunista. Non avrebbe mai potuto immaginato che le sue parole sarebbero servite anche per l’Europa del 2013.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

8 - PRONTUARIO PER CHIARIRSI LE IDEE ED EVENTUALMENTE CHIARIRLE A CHI INCONTRIAMO
Ecco perchè l’aborto non può mai essere una risposta.I luoghi comuni sul delitto più grave del nostro tempo.
di Corrado Gnerre - Fonte: I Tre Sentieri

IN ALCUNI CASI L’ABORTO NON SI PUO’ EVITARE – La vita umana c’è o non c’è. Se non c’è è inutile complicarsi l’esistenza. Si potrebbe abortire, sia che la motivazione sia grave, sia che sia banale.Ma se la vita umana c’è può un motivo, per quanto gravissimo, giustificare la soppressione di una essere umano innocente? Quale motivo può essere anteposto alla vita umana?
QUANDO SI SA CHE IL FIGLIO NASCERA’ CON UNA GRAVE MALATTIA E’ BENE ABORTIRE – Chi può decidere se una vita umana sia degna o non degna di essere vissuta? Inoltre, chi stabilisce quale debba essere il criterio per fissare l’entità della sofferenza? Per alcuni potrebbe essere una entità grave, per altri un’entità oggettivamente meno grave, eppure soggettivamente ugualmente grave. Ci si rende conto che, secondo questo ragionamento si ritorna all’antico concetto di pater familias dell’antica Roma?
MA SE NON CI FOSSE L’ABORTO LEGALE, CI SAREBBE QUELLO CLANDESTINO – Cosa pensereste se qualcuno dicesse: “dal momento che i rapinatori , facendo rapine, rischiano la vita, sarebbe opportuno legalizzare le loro malefatte”?
E’ GIUSTO CHE LA DONNA DECIDA DI DIVENTARE MADRE QUANDO DESIDERA DI DIVENTARLO – ammesso e non concesso che sia così. “Non concesso”, perché sarebbe un discorso, questo, che ci porterebbe fuori argomento. Dicevamo: ammesso e non concesso che sia così, la donna non diventa madre quando partorisce ma quando concepisce. La donna, dal concepimento, avverte dentro di sé che è cambiato tutto,. Ci sono donne che non sopportano un determinato cibo, per poi desiderarlo dopo il concepimento (evidentemente l’embrione prima e il feto dopo danno degli impulsi per cui hanno bisogno di quelle sostanze nutritive) quindi dopo il parto, i gusti ritornano come prima. Se, dunque, la mamma diventa mamma dal concepimento e non dal parto, allora si capisce bene perché la donna non può rinunciare ad essere mamma quando già lo è.
NEI CASI DI VIOLENZA CARNALE COME E’ POSSIBILE PRETENDERE CHE LA DONNA SUI TENGA UN BAMBINO CHE LE POSSA RICORDARE CONTINUAMENTE IL TRAUMA SUBITO? – Indubbiamente la donna che subisce una violenza rimane fortemente scioccata. Ma – chiediamoci – è giusto ritorcere una violenza subita su chi non ha nessuna colpa, ovvero sul bambino concepito? Inoltre la donna che ha subito la violenza è già fortemente traumatizzata e la cosa da evitare è proprio aggiungere trauma su trauma. La donna che abortisce infatti sa che ha la vita in sé e sa anche che,in ultima analisi, è stata lei a decidere. Questo (come documenta ormai una fornita letteratura scientifica che parla di “sindrome depressiva post-abortiva”) può aggravare, non alleviare, la sua drammatica situazione psicologica..
IL FETO NON E’ UOMO PERCHE’ NON HA NESSUNA POSSIBILITA’ DI RELAZIONARSI CONSAPEVOLMENTE CON L’AMBIENTE – Anche il bambino appena nato non è capace di relazionarsi consapevolmente con l’ambiente. Lo stesso si deve dire per il demente e per il malato in coma. La consapevolezza è certamente una componente dell’essere umano ma non la componente. Se così fosse – lo ripetiamo - potremmo uccidere i bambini anche dopo nati, potremmo uccidere i dementi, i malati in coma.

IL FETO NON E’ UOMO PERCHE’ NON E’ ANCORA TOTALMENTE FORMATO – Prima di tutto va detto che l’organogenesi Ola formazione degli organi) si completa ad appena 60 giorni dal concepimento, il che vuol dire che quando la donna sa di essere incinta da un mese o poco più. Piuttosto questo discorso potrebbe valere per l’embrione. Ma – ragioniamo – non è la crescita ciò che conferisce dignità umana. Se così fosse, dovremmo dire che un uomo alto due metri è più uomo di uno altro un metro e mezzo. Oppure che un adulto è più uomo di un bambino. Si potrebbe inoltre fare questo esempio: un milligrammo di oro è ugualmente oro rispetto ad un quintale dello stesso metallo. La differenza è quantitativa, non qualitativa!

Fonte: I Tre Sentieri

9 - COMFORT CARE PER NEONATI TERMINALI
Intervista alla neonatologa Parravicini che si prende cura della vita fino all’ultimo istante, anche se dei più piccoli...
di Anna Fusina - Fonte: ProLife News

La dott.ssa Elvira Parravicini, neonatologa e Assistente di clinica pediatrica alla Columbia University di New York, si è specializzata in Pediatria e Neonatologia all’Università di Milano.
Nel 1994 si è trasferita a New York e dal 1998  lavora al Columbia University Medical Center.
E’ fondatrice del primo neonatal hospice, un reparto ospedaliero concepito con lo scopo di curare i bambini che nascono già terminali, in quanto affetti da sindromi non compatibili con la sopravvivenza, dove viene praticata la comfort care, un’attività medica che dà dignità alla vita di un bambino appena nato, permettendo che sia curato ed amato in tutti gli istanti della sua molto breve vita.
- Dott.ssa Parravicini, cosa significa per lei essere medico? Perchè fa la neonatologa?
Dott.ssa Parravicini: “Mi ha sempre stupito la promessa di felicità che si prova quando nasce un bambino in sala parto. Tutti sono entusiasti e lui non sa fare niente, non è intelligente, ha bisogno di tutto … Ma perché?
Tutti sono entusiasti e ‘presi’ da questa nuova presenza perché lì c’è una promessa di compimento e di felicità.
Allora, come medico, ho sempre voluto collaborare a realizzare questa promessa di felicità, prendendomi cura di neonati malati.”
- Cos’è la “comfort care”?
Dott,ssa Parravicini:  “È una terapia medica e infermieristica che si prende cura di bimbi con una vita molto breve. È perciò impostata sul dare conforto a questi bimbi, così che la loro vita, anche cortissima, sia serena e piena di amore. Cerchiamo di garantire delle condizioni di conforto al bimbo, lo lasciamo in braccio ai genitori, così che si senta amato e rimanga al caldo, gli diamo da mangiare o garantiamo un minimo di idratazione, così che non soffra fame o sete. E poi trattiamo il dolore.”
- Quando ha iniziato ad applicare la “comfort care”?
Dott.ssa Parravicini: “Nel 2006 ho avuto i primi 2 casi: ho incontrato le mamme di due  bambini destinati a morire poco tempo dopo la nascita e mi sono chiesta: “Questi bimbi sono così preziosi per i loro genitori, come posso aiutarli da un punto di vista medico?”
E mi sono resa conto che si possono fare tantissime cose per aiutarli. Non è proprio vero quello che alcuni dicono, che ‘non c’è più niente da fare’! Al contrario c’è molto, moltissimo da fare, da  inventare: basta essere attenti ai loro bisogni personalissimi!”
- Per quali bimbi viene usata la “comfort care”?
Dott.ssa Parravicini: “Sono bimbi diagnosticati con malattie cosiddette ‘life-limiting’, cioè per cui la medicina non può fornire guarigione o prolungare la vita. Ci son anche bimbi trattati per lungo tempo in terapia intensiva, che magari hanno subito delle operazioni e che diventano terminali. Ancora, la medicina NON può guarirli, ma possiamo fare tantissime cose per rendere la loro breve vita piacevole e piena di amore.”
- Qualcuno parla di accanimento terapeutico…
Dott.ssa Parravicini: “No, assolutamente, noi sosteniamo una vita che è data e la seguiamo finché c’è. Quando il bambino ci dà  segni che viene la fine, rispettiamo questi segni, seguiamo il lavoro di un Altro, quell’Altro che ha voluto che questo bimbo vivesse, anche per pochi minuti.”
- Su cosa è centrata la diagnosi prenatale oggi, a suo parere?
Dott.ssa Parravicini: “Purtroppo è centrata sulla identificazione di problemi nel feto per ‘evitare’ che nasca, ma questo è proprio contrario alla ragione per cui la medicina è nata, che è:  aiutare chi chiede aiuto.”
- Qual è il suo approccio ai genitori nel comunicare loro la diagnosi del figlio?
“Dott.ssa Parravicini: Mi propongo come un medico che vuole aiutare  il loro bambino ad avere la più bella vita possibile.
I genitori capiscono che io voglio bene al loro bimbo e non possono essere di meno, anzi!”
- Come considera l’aborto?
Dott.ssa Parravicini: “Per me non esiste, non è una pratica ‘medica’ che io considero.”
- Ci sono donne intenzionate ad abortire che alla proposta della “comfort care” cambiano idea?
Dott.ssa Parravicini: “Il desiderio più profondo del cuore di una donna è di amare il proprio figlio.
A volte  però ci sono situazioni difficili, difficilissime, di povertà, abuso, ecc. e allora mi trovo a tentare di sostenere questo desiderio. Molte volte queste donne mi seguono, a volte no.
È un mistero, come è un mistero che questi bimbi nascano per vivere per un così breve tempo.

Ogni vita, breve o lunga che sia, è vita; è data ed in quanto tale va rispettata.

Fonte: ProLife News

10 - PAPA FRANCESCO ALLA GMG: NESSUNA VITA E’ INUTILE
Anche il bambino anencefalico va amato fino alla morte naturale: non si elimina la sofferenza eliminando il sofferente come vuole la ‘‘cultura dello scarto’’ come l’ha definita il Papa
di Giuseppe Noia - Fonte: Avvenire
Fonte: Avvenire

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