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TAFIDA MIGLIORA, E IL PENSIERO VA A CHARLIE E ALFIE. MA I CASI NON SONO UGUALI: E' STATA RISPETTATA LA FEDE, MA MUSULMANA
Grazie all'ospedale italiano Gaslini, Tafida, ormai data per incurabile dai medici inglesi,sta sperimentando miglioramenti significativi.
di Emanuele Boffi

Il caso di Tafida, la bambina di 5 anni che secondo i medici inglesi del Royal Hospital di Londra sarebbe dovuta morire «nel suo miglior interesse» e che, invece, curata al Gaslini di Genova, ha mostrato segni di miglioramento, è macroscopico per la sua rilevanza e implicazioni.
La storia la conoscete e ieri su tutti i quotidiani italiani se ne dava conto, mischiando un (comprensibile) stato di giubilo per una vita che si riaccende e un (legittimo) orgoglio per l'ottimo lavoro svolto dai dottori dell'ospedale italiano. Poi, ovvio, non finisce qui: per la piccola il percorso di riabilitazione sarà lungo e faticoso, ma da "è meglio se muore" a "la prospettiva è mandarla a casa" c'è un bel salto.
Esistono due elementi della vicenda che sono rimasti un po' nell'ombra e che è bene evidenziare. Il primo riguarda alcune espressioni usate dai medici italiani durante la conferenza stampa; il secondo è la fede musulmana dei genitori di Tafida, che si sono battuti come leoni per farle avere assistenza.
Ha detto Paolo Petralia, direttore generale dell'Istituto, citando una frase del papa, «curare è incontrare le persone».
«Siamo felici di aver accolto Tafida all'Istituto Gaslini, esaudendo il desiderio dei suoi genitori, che hanno chiesto tempo e tutta la qualità di vita migliore possibile per la loro piccola, poiché non sempre, purtroppo, è possibile guarire, ma è sempre doveroso prendersi cura e offrire spazio di accudimento ed accoglienza ad un bambino e ai suoi genitori. Questo tempo, che viene offerto a Tafida e ai suoi famigliari, è una condizione di dignità e qualità di vita, che da sempre al Gaslini viene garantito ai bambini di tutte le condizioni».
Andrea Moscatelli, direttore del Centro di Rianimazione Neonatale e Pediatrica, ha aggiunto:
«Il nostro compito è stato da subito quello di supportare le funzioni vitali di Tafida, con l'obiettivo di renderne possibile l'accudimento a casa da parte della famiglia. Le cure intensive devono sempre essere proporzionate alla condizione clinica del paziente, in un delicato equilibrio nel quale è fondamentale garantire la dignità di vita dei bambini e la condivisione dei percorsi di cura con le famiglie»
Sia nelle parole di Petralia sia in quelle di Moscatelli si rintracciano alcuni concetti cari a questo giornale: non esiste un diritto alla guarigione, ma esiste un dovere di cura; le cure devono essere proporzionate alla condizione del paziente; tra medici, pazienti e familiari si deve instaurare un'alleanza perché tutti stanno percorrendo il medesimo cammino. Sono tre punti fondamentali che riguardano il caso di Tafida ma, più in generale, qualsiasi altro: il riferimento immediato è ad Alfie Evans e Charlie Gard, ma il discorso potrebbe essere esteso anche ai casi che hanno acceso il dibattito sull'eutanasia e il suicidio assistito.
Si può curare anche quando non si può guarire, abbiamo sempre scritto. E questo vale sia nel caso (positivo) di Tafida, ma anche quando, invece, le cose si mettono male o si complicano o si cronicizzano.
Seconda osservazione, più delicata perché potrebbe prestarsi a fraintendimenti, ma altrettanto importante. La storia di Tafida ha potuto avere una svolta grazie alla grande mobilitazione della comunità musulmana residente in Inghilterra. Quando i medici inglesi hanno espresso il loro parere mortifero, sia i genitori della piccola sia i fedeli islamici a loro più prossimi si sono ribellati. La medesima "ribellione" si era verificata nei casi sopra citati, ma, questa volta, l'atteggiamento dei giudici inglesi e dei mass media in generale è stato molto diverso. Nessuno si è sognato di bollare i due genitori come dei "fanatici pro life" o dei masochisti che volevano tenere in vita a tutti i costi la figlia. La comunità musulmana inglese, poi, a differenza ad esempio con quanto accaduto nel mondo cattolico sui casi Evans e Gard, è rimasta compatta e solidale con i genitori. Su richiesta della madre, si espresse perfino il Consiglio islamico europeo che con una fatwa ricordò che, per i musulmani come la famiglia Raqeeb, l'interruzione dei trattamenti vitali è «inammissibile» oltre che un «grave peccato».
Senza togliere nulla all'atteggiamento eroico dei genitori di Tafida va freddamente rilevato come tra casi non sovrapponibili ma simili il ruolo giocato da giudici e grande informazione sia stato molto diverso.

 
Fonte: Tempi, 10/01/2020