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Possiamo tirare in ballo la dantesca legge del contrappasso o il più volgare "chi la fa l'aspetti", ma la vicenda dei due giovani burloni neozelandesi, Travis McIntosh e Matt McCormick di Dunedin, è una sorta di "case history", anticipazione di dove potranno condurci i paradossi dei nuovi diritti targati Lgbt. L'ingegnere Travis e l'insegnante Matt si sono sposati la scorsa settimana all'Eden Park di Auckland con una cerimonia piuttosto affollata: 60 gli invitati, tra parenti e amici, uniti dalla passione per il rugby, il rude sport nazionale. Siamo nella terra dei "cattivissimi" All Blacks e dell'haka, la danza maori che la squadra inscena per spaventare gli avversari. Pure il matrimonio dei due giovani ha gettato nel panico gruppi e movimenti gay del New Zeland, in grande spolvero dopo la recente approvazione della legge sulle unioni omosessuali.
Le nozze dell'ingegnere del suo compagno, infatti, erano col trucco: non erano vere nozze e tantomeno gay. Un matrimonio burla, messo in scena per un motivo altrettanto scandaloso: partecipare al concorso organizzato da una radio di Auckland con in palio due biglietti di prima fila per la finalissima della Rugby Wordl Cup 2015 che si disputerà in Inghilterra. Un concorso riservato alle coppie gay e regolarmente sposate: da qui la brillante idea che ha fatto saltare i nervi al movimento arcobaleno. McCormick e McIntosh, infatti, non hanno nascosto di essere eterosessuale e di non aver nessuna intenzione di cambiare tendenza anche se, hanno promesso, che resteranno insieme per qualche mese anche dopo la partitissima inglese. Tra di loro c'è solo una grande amicizia che risale ai tempi del liceo, quando giocavano insieme a rugby. Tutto qui, nessun amore gay e nessuna promessa di fedeltà sponsale: tra i due la sola passione destinata a durare sarà soltanto quella per il rugby.
L'inganno è stato scoperto, ma solo a nozze celebrate. Probabile che la radio squalifichi dal concorso gli sposi bugiardi. Ma nessuno potrà cancellare i segni dello schiaffone mollato dai due sulla faccia tosta di un Paese impegnato a presentarsi come "gay friendly" e paradiso dei matrimoni omosex. Secondo i dati forniti da Statistics New Zealand, nel 2013, sul totale delle cerimonie avvenute tra persone dello stesso sesso, la metà coinvolge cittadini stranieri, venuti nel Paese down under per coronare il sogno di una cerimonia tradizionale. «Gli stranieri sono felici di avere quest'opportunità e amano la Nuova Zelanda che, su questo tema, è più aperto rispetto alla maggior parte del mondo, comprese alcune democrazie occidentali», commenta Sheryl Mungall, che, dall'entrata in vigore della legge, ha celebrato 15 matrimoni a Auckland.
«È una cosa positiva per l'economia del nostro Paese», dicono gli operatori, «perché le coppie portano molti ospiti con loro e spesso uniscono alla cerimonia il viaggio di nozze». Le cifre non sono granché: nemmeno 400, con 146 coppie provenienti dall'estero. La maggior parte arriva dall'Australia, Paese ancora chiuso ai matrimoni gay, ma anche da Stati Uniti e Israele. Ma siamo solo all'inizio: secondo un survey organizzato dal gruppo lobbystico Australian Marriage Equality, almeno mille coppie australiane, stanche di aspettare la decisione del loro governo, attraverseranno il mare nel prossimo futuro per sposarsi nella nazione vicina.
Ora, però, la figuraccia mondiale seguita alla messinscena rischia di compromettere il fatturato della promettente settore del "gay-wedding", ma soprattutto di sfregiare l'immagine delle associazioni queer. «Soltanto un'ignobile parodia», ha tuonato il coordinatore dell'Otago University Students' Association Queer Support, il signor Neill Ballantyne, al New Zealand Herald. «Banalizza ciò per cui abbiamo combattuto e offende il matrimonio tra due uomini, dipingendolo come qualcosa di negativo, come qualcosa di oltraggioso, da non tenere in nessuna considerazione». E ancora, «un insulto, perché le nozze omosessuali sono riservate solo agli omosessuali veri».
Dichiarazioni queste, ancora più ridicole e grottesche delle nozze burla dei due finti gay: a chi tocca verificare l'autenticità della tendenza unisex delle coppie? Formeranno una commissione, un comitato ristretto per esaminare che i gay siano davvero tali o, come negli orgasmi simulati, non facciano finta? O renderanno obbligatori "corsi per fidanzati gay", copiandoli da quelli organizzati dalle parrocchie cattoliche? Potrebbe essere buone idee per rilanciare ancora di più il turismo arcobaleno in Nuova Zelanda: il primo Paese al mondo in grado di certificare il grado dell'inclinazione sessuale, con tanto di punteggi e regolare attestato medico-scientifico da esibire in caso di controversie divorziste o sopravvenuta bisessualità in uno dei partner.
Si scherza, però mica tanto. Certo, potremmo chiudere l'intera vicenda neozelandese canzonando lo scandalizzato bigottismo Lgbt con un bel vaffa, alla maniera grillesca. O con un più educato ben gli sta, rispedendo al mittente l'indigesto predicozzo sui "valori" gay non negoziabili e l'amore "vero" e maschio al cento per cento. Proprio loro che nei Gay Pride ostentano i più osceni travestimenti da cabaret e blasfeme parodie sessuali, vengono a moraleggiare vestendosi da casta Susanna. Massì, potremmo ribattere a questi improvvisati poliziotti dell'etica gender che chi la fa l'aspetti (e i biglietti per la partita li vinca il migliore). Ma sarebbe troppo facile aggirare così il problema.
Perché un problema c'è e non riguarda solo i gay veraci. Malgrado loro, esiste però del buono in quel che dicono: non si uccide così un matrimonio, sacro o profano che sia, e non ci si sposa per vincere un biglietto per il derby dell'anno. E che, aggiungiamo noi, non si può buttare in burletta, come hanno fatto i due grulli di Auckland, quello che di più vero, autentico e impegnativo due persone possono promettersi per la vita. Ma allora, occorrerà interrogarsi sulla natura di quell'unione e sulla verità di tali promesse, provare se davvero corrispondono o meno alle attese dell'animo umano. Così la Nuova Zelanda ributta la palla (ovale) anche a noi.
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