Amici del Timone n�54 del 01 aprile 2016

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TRA MAMMA E FIGLIO LEGAMI CHE NON SI POSSONO TAGLIARE
La separazione precoce del neonato provoca danni irreparabili per entrambi
di Carlo Bellieni

Resta impossibile per un pediatra pensare che sia bene per il bambino ritrovarsi allontanato dalla mamma che lo ha tenuto in grembo per nove mesi. Eppure con la maternità surrogata avviene proprio questo, ma ci sono argomenti basilari di puericultura che lo sconsigliano. In primo luogo la mancanza del latte materno dopo l'allontanamento, paradosso nell'epoca in cui l'Organizzazione mondiale della sanità spiega che l'allattamento materno è un diritto per la salute del bambino. Senza latte della mamma aumenta il rischio di allergie, di obesità, di infezioni, e nessun latte artificiale è in grado di sostituirlo perché nel latte materno esistono sostanze antinfiammatorie e antinfettive importantissime; perché il latte materno può essere copiato ma non si potrà mai copiare l'intelligenza della natura che durante una poppata prima fa uscire dal seno latte più dolce per attirare a succhiare e poi latte più grasso per far venire il senso di sazietà, insegnando al bambino a regolarsi.
Il secondo problema è che nei nove mesi si crea un attaccamento (bonding in inglese) del bambino con la mamma attraverso la voce materna e le cose che la mamma mangia; attraverso la dieta della mamma si formano i gusti alimentari del bambino. Ho chiesto ad alcuni dei maggiori studiosi mondiali esperti nello studio dei sensi umani di raccontare cosa potesse provare un feto nell'utero materno dal punto di vista del gusto, dell'olfatto, dell'equilibrio; questi dati («Sento dunque sono», Ediz. Cantagalli) illustrano che il bambino prima di nascere conosce il mondo esterno attraverso le sensazioni che gli arrivano dalla mamma. Questo apprendimento serve al neonato per sapere dove ricercare l'alimento e il calore: alla nascita sa orientarsi con l'olfatto già esercitato prima di nascere per ricercare la sorgente del latte e il calore della mamma, riconoscendone la voce e il profumo che aveva «sperimentato» per nove mesi. Ma se scompare la mamma, cambia l'ambiente di riferimento e l'attaccamento che si era creato entra in crisi; solo un barbaro ragionamento può aver ridotto la donna al suo utero e la gravidanza a un fatto meccanico e non più uno scambio di informazioni e sensazioni tra due attori impegnati a conoscersi.
Il bambino oltretutto viene costretto in gran parte delle gravidanze surrogate a nascere per taglio cesareo, come attesta Amrita Pande nel suo libro «Wombs in Labor. Transnational commercial surrogacy in India» (Columbia University Press): i bambini nati da maternità surrogata vengono identificati come «preziosi » per indicare che sono indirizzati a uno specifico e apparentemente più sicuro trattamento: avranno più indagini in gravidanza e un tasso maggiore di cesarei per essere certi del risultato del prodotto finito; ma i cesarei oltre a essere interventi chirurgici con i relativi rischi, determinano per il bambino un maggior rischio di problemi respiratori e nascita pretermine. Guardiamo la maternità surrogata con gli occhi del bambino: senza il suo permesso viene estraniato da sua madre che ancora porta in sé le impronte del feto (cellule staminali fetali, cambi ormonali indotti dalla gravidanza) e che ha dato a lui stimoli e messaggi col suo imprinting. Ridurre una donna alla funzione del suo utero è una violenza per lei e per chi nascerà.

Fonte: Avvenire, 10/03/2016

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