Amici del Timone n�5 del 09 febbraio 2012

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L'INTERRUZIONE VOLONTARIA DI GRAVIDANZA DISTRUGGE LE PERSONE
Gli aborti crescono con leggi che lo liberalizzano
di Renzo Puccetti

Il 19 gennaio è comparsa sull'edizione on line della prestigiosa rivista medica Lancet un articolo volto a fornire le cifre del ricorso all'aborto su base planetaria nel periodo compreso tra il 1995 ed il 2008.
Nell'articolo gli autori formulano la seguente affermazione: "le leggi restrittive sull'aborto non sono associate a tassi di abortività più bassi". Non desta sorpresa osservare che la pubblicazione è stata prontamente assunta da numerosi gruppi favorevoli all'aborto per sostenere la necessità di liberalizzare l'interruzione volontaria di gravidanza in ogni nazione.
Alla base della liberalizzazione dell'aborto si pone la teoria del cosiddetto aborto "safe", l'aborto sicuro, di cui la completa legalizzazione è elemento imprescindibile, benché non esaustivo. Si tratta di iniziative volte a convincere i governi, in particolare di nazioni del sud America, che una eventuale depenalizzazione dell'aborto non può che tradursi in un atto che fa solo del bene, evita alle donne le complicanze da aborto clandestino senza che gli aborti aumentino. Già, dicono così.
Ci si può però domandare se davvero questa lettura sia rispettosa della realtà, o se invece non sia piuttosto una rappresentazione conveniente per una prospettiva molto ideologica.
Un primo elemento di riflessione deriva dagli autori: membri del Guttmacher Institute, che è una formidabile macchina di divulgazione di istanze abortiste, storicamente legata a doppio filo alla più grande catena americana di cliniche per aborti, la Planned Parenthood. Il Guttmacher Institute fa parte di quella che viene chiamata "lobby dell'aborto" e che chiede alle istituzioni internazionali di riconoscere l'interruzione volontaria di gravidanza come parte dei cosiddetti diritti riproduttivi.
Gli autori affermano di avere elaborato i dati a partire da una molteplicità di fonti: studi pubblicati, rapporti occasionali, pareri di esperti. Come da tale zibaldone grezzo si giunga alle stime riportate nello studio è materia oscura, assai distante da quella trasparenza sui metodi seguiti che consente la verificabilità e riproducibilità propri del metodo scientifico galileiano. Non sono infatti a conoscenza di alcun rapporto che spieghi in modo dettagliato, passaggio per passaggio, come ogni dato sia stato statisticamente elaborato. Di una cosa però siamo a conoscenza e riguarda l'enorme grado di variabilità ed incertezza che sottende tutte le metodologie impiegate per stimare gli aborti clandestini.
Se si vuole avere una prova è sufficiente comparare le rispettabilissime stime del numero degli aborti prima della legalizzazione in alcuni paesi occidentali. Può essere utile rinfrescare la memoria citando alcuni numeri. Per l'Italia Grandolfo e coll. forniscono la cifra di 350.000 aborti prima della legalizzazione, mentre Figà Talamanca presenta stime che, sulla base di vari modelli matematici, spaziano da 220.000 a 3.640.000 aborti, quando invece il professor Colombo dava come cifra più probabile 100.000 aborti all'anno. In Francia L'INED, l'istituto nazionale di statistica, valutava gli aborti prima della legge Veil a 250.000 mentre Thierry Lefevre forniva una forbice di 55.000-90.000. Per l'Inghilterra invece si dava la cifra di 100.000 aborti prima dell'abortion act del 1967 quando altre pubblicazioni scientifiche facevano valutazioni comprese tra 15.000 e 31.000 aborti.
Non si dovrebbe neppure sottovalutare la testimonianza diretta del dottor Nathanson, fondatore del NARAL (National Association for the Repeal of the Abortion Laws), successivamente convertito alla causa pro-life ed al cattolicesimo, che testimonia l'esagerazione degli aborti quale tecnica adottata per creare l'impressione che l'aborto fosse diffusissimo in America al fine di ottenerne la legalizzazione.
Se quindi dovrebbero risultare chiari limiti e intenti di questo genere di pubblicazioni di cui questo articolo di Lancet è solamente un esempio, resta ancora una considerazione da svolgere e riguarda l'impiego di dati crudi anziché corretti per i numerosi fattori in grado di modificare gli stessi dati. La cosa risulta evidente e sospetta se la confrontiamo con lo zelo posto dal mondo pro-choice (favorevolo all'aborto) nell'impiego di ogni co-fattore possibile al fine di calmierare la maggiore probabilità di problemi psichici da parte delle donne che hanno abortito.
Si sostiene infatti che la causa non risieda nell'aborto in sé, ma in tutta una serie di fattori che predispongono le donne con problemi psichici ad abortire con maggiore probabilità. Ci si chiede così perché gli esperti che hanno pubblicato lo studio su Lancet non abbiano corretto i dati di abortività per i numerosi fattori che notoriamente influiscono sul ricorso all'aborto: reddito, religiosità, fecondità, scolarità, razza, solo per citarne alcuni.
Di una cosa si può essere certi: legalizzare l'aborto significa accettare l'aumento degli aborti. Non è una tesi, è molto più che un'ipotesi, è un dato che è stato dimostrato in Italia, così come in Romania, negli Stati Uniti così come in Peru e dimostra chiaramente che combattere per leggi restrittive significa combattere per la vita.

Fonte: Zenit, 05/02/2012

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