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I registri per il biotestamento erano stati spacciati come un'esigenza sociale fortemente sentita. I dati acquisiti attestano che non è vero.
Proponiamo ai nostri lettori questo articolo pubblicato sul mensile Notizie Pro Vita, che meritava di essere letto e merita di non essere dimenticato. (Dati riferiti al Dicembre 2012)
Continua a far discutere l'istituzione, da parte di alcuni Comuni italiani, dei registri delle dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari, cioè – come si legge sul sito dell'Associazione Luca Coscioni del «'testamento biologico' che da anni è richiesto da molte parti e che fa polemica dai giorni della vicenda-choc di Eluana Englaro». Sul fatto che vi siano forti pressioni in proposito infatti non ci piove ma – sorvolando sul dato giuridico, del quale diremo fra poco – questo tipo di registri è davvero «richiesto da molte parti»? Esiste, cioè, un'esigenza sociale che dette iniziative mirano a soddisfare?
Dai dati emersi sembrerebbe proprio di no.
Prendiamo il Comune di Genova: dal 2009 al 2011 sono stati raccolti circa 170 biotestamenti, che per una città di oltre 600.000 abitanti corrispondono a meno dello 0,3% dei cittadini. Passando a realtà meno popolose, per esempio Alba, provincia di Cuneo, la musica non cambia: meno di dieci dichiarazioni per un Comune di circa 31.500 abitanti. Se poi si guardano i piccoli paesi i numeri risultano ancora più sbalorditivi: a Mezzolombardo, 7.000 abitanti in provincia di Trento, ad un anno dall'istituzione del registro comunale per il biotestamento sono state raccolte «solo due adesioni» (Trentino, 11/9/2012), numero che corrisponde allo 0,02% dei cittadini. Incredibile: ma i radicali non ci spiegano che il testamento biologico è un diritto rivendicato «da molte parti»? La tendenza sembra francamente quella opposta.
Tanto che perfino a Lecco, città di Beppino Englaro, nel 2011 il Consiglio comunale ha respinto l'istituzione di un registro per il biotestamento. Analogamente il Comune di Vicenza, guidato da una maggioranza targata Pd, tempo prima aveva rifiutato di istituire un registro dei testamenti biologici spiegando «che non è facoltà degli enti locali esprimersi in merito» (Corriere del Veneto, 14/6/2010); lo stesso per il Comune di Milano –insospettabile di simpatie conservatrici – che pochi mesi fa ha respinto la richiesta per un registro di testamenti biologici (sottoscritta da ben 5.000 cittadini) spiegando che la materia «non rientra nelle attribuzioni del Comune» (Corriere della Sera, Ed. Milano 20/6/2012).
Con queste considerazioni passiamo quindi ad una seconda ragione che ci dice come i registri comunali per il testamento biologico, oltre che poco seguito, abbiano pure poco senso. Giuridicamente parlare di biotestamento implica de facto il chiamare in causa temi quali la libertà individuale e la tutela della salute, che investono competenze ben più ampie di quelle dei Comuni. Trattasi infatti di diritti civili e come tali di esclusiva competenza dello Stato, come ci ricorda l'art. 117 della Costituzione; la tutela della salute è materia che può essere disciplinata sia dallo Stato sia dalle Regioni, ma non dai Comuni, come ribadito anche nel Decreto Legislativo n. 267/2000, che elenca le funzioni comunali, tra le quali sono ricompresi sì «servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica», ma solamente quelli «attribuiti dalla legislazione statale e regionale».
Alla luce di queste considerazioni non ci sono dubbi: i registri per il biotestamento, propagandati per soddisfare un' "esigenza sociale" inesistente, anche se approvati non hanno alcun valore giuridico. Ragion per cui sarebbe auspicabile – tanto più in tempi di spending review – che le Amministrazioni comunali si impegnassero su fronti ben più seri ed urgenti.
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